Mattinate napoletane di Salvatore Di Giacomo pagina 16

Testo di pubblico dominio

entusiasmato—Bellissimo!
Stupendo! Suor Carmelina ha succiato il veleno!…
La piccola suora era diventata grande. Era accorsa al grido del piccino, lo aveva trovato piangente, gli aveva chiesto che fosse successo. Il piccino le rispose: —Mi ha morso il cane…. Subito dopo si sentì gridare: —Badate! Badate! Il cane è idrofobo! Il giardiniere gli aveva spaccato il cranio con un colpo di bastone. Ma il povero ragazzo mostrava il braccio nudo, sanguinante, e nessuno sapeva trovar modo di soccorrerlo. Allora suor Carmelina, s'avanzò, pallidissima, ma senza il più piccolo tremito. Accostò alla ferita le labbra e succhiò, rigettando il sangue e il veleno, forbendosi le labbra bianche col gran moccichino scuro a quadroni. E allora tutta la sala numero quattro proruppe in un applauso. Il colono di Melito agitava il berrettino… * * * Dove sei ora, piccola monaca bianca, Carmela, mistica anemica, figlia della laguna, ove sei? Allo spedale degl'Incurabili una volta, un mio amico chirurgo operò sopra una contadinella. Nel candido seno entrò la lama tagliente del bisturi. La contadinella dormiva, cloroformizzata. Per parecchio tempo ho chiesto al chirurgo mio amico notizie di lei. Era stata una terribile operazione. Ma la contadinella guarì. Dopo un mese uscì dallo spedale e il dottore venne a trovarmi al caffè, per annunziarmelo. Un vero miracolo. Ma di suor Carmelina io non ho mai osato dimandare. Non so perchè. Se ella… DOCUMENTI UMANI Settembre 1886 Tre giorni fa, in una scura e fetida vanella d'un palazzo in via Tribunali, d'un subito, qualcosa cadde con un tonfo sordo, e spaventò i sorci che frugavano tra i cocci sparsi e le immondizie e i rifiuti di quelle ruine borghesi ond'escono, continuamente, a turbare i pranzi delle immonde bestie, le improperie delle serve e i pianti dei piccini impertinenti. Cadde dunque qualcosa. I sorci fuggirono con gran terrore e si rintanarono. Era caduto il corpo d'una giovinetta: una bionda. Esso rimase lì, prono, la faccia nel fango, un braccio steso, le gambe stese. Una fine caviglia spuntava di sotto alla gonnella, un piccolo piede arcuato, la calza bianca… Quella ragazza s'era buttata da un terrazzo al quarto piano, ove era salita per sciorinare i panni. Si chiamava Antonietta Canserano, aveva diciotto anni, era molto bellina. Quel corpo inerte rimase lì tre ore. A poco a poco le bestie immonde riapparivano. De' piccoli musetti, dei piccoli occhietti spaurati spuntarono pei buchi. La ragazza rimaneva immobile. Finalmente si seppe il fatto. La vanella si empì di gridi femminili. L'orrore era grande, e il sangue!… Quanto sangue laggiù, tra i cocci e i rifiuti, nel fango, su per la nera poltiglia luccicante!… Arrivò un medico, arrivarono le guardie, il pretore, un delegato, curiosi d'ogni parte. Il corpo dell'Antonietta fu tolto di lì, adagiato in una vettura, e trasportato allo spedale degl'Incurabili. Perchè la poverina era ancor viva. Respirava, lentamente, a fatica, gli occhi socchiusi, pieni di lacrime… * * * La storia di questa fanciulla è breve ed è la solita storia. Antonietta Canserano, orfana di madre, ha il padre in America. Era stata affidata a una zia che le voleva un bene del cuore e con la zia se ne stava, al quarto piano del palazzo numero 105 in via Tribunali. A diciassett'anni aveva conosciuto un piccolo marinaio, bruno e atticciato. Si chiamava Vincenzino. Un cuor d'oro. Il marinaio a momenti avrebbe terminata la sua ferma, sarebbe tornato a Napoli, l'avrebbe sposata. Glielo aveva promesso da un anno; quando giurava si metteva la mano nera sul petto, gli occhi lucevano. Ell'era così felice, così felice di quel piccolo uomo arso dal sole, delle parole sue tanto calde, tanto franche! E aspettava. Quattro mesi fa Antonietta chiese in grazia alla zia che le facesse pigliare un po' d'aria. L'usignuolo s'annoiava in gabbia. E come la zia non poteva accompagnarla ella uscì sola a passeggiare. Se ne andò in villa. Lì, non si sa come, le si accostò un furiere di linea. Si mise a chiacchierare con lei, la tentò, e seppe abusare della poverina. Questo succede assai spesso. Una rovina in un attimo. Dopo, il furiere, come tutti gli uomini senz'anima e senza onore, abbandonò Antonietta. Ella tornò, sola, a casa della zia. Per la strada del Chiatamone, un marinaio amico del suo marinaio l'aveva incontrata. —Come! Sola! Se lo sapesse Vincenzino! Lasciate che v'accompagni. Ella tremava come una foglia. Non rispose una sola parola. —Se scrivo a Vincenzino volete che gli dica che v'ho incontrata? Ella rispose: —No… per carità! Il marinaio la guardò, fece spallucce. E continuarono a camminare, in silenzio… * * * Napoli 18 Luglio 86 Mio caro Potito ti scrivo queste poche riche ti fo conosciere che ia sto bene di salute e così spero di sentire di te. Dunque Mio caro Potito, dopo due mesi e tredici giorni mi ho azzardato di scriverti innascosta dei mie parenti; perchè dopo tanti mie pianti mi ho sognato una donna e mi ha detto così—figlia mia Antonietta non piangete più che il mio figlio vi deve venire a sposare pregherò ia a Dio che gli dà buoni pensieri e ti prego fatelo una lettera; ecco mio care queste semplice parole mi à detto e mi sono svegliato ed ia ti sono scritta non aveva inchiostro e ti sono scritto con un lapiso. Dunque mio caro ricordati di mè che mi sei levato l'onor mio così che io quella sera ero una stupita non capiva che cosa era il mondo e tu ti ni approfittasti di mè così si deve approfittare i Dio di tè se tu sei negato infaccio ai miei parenti non può negarlo innazi al tribunale di Dio perchè io come tu mi sei lasciato così io sto! nessun altro si ni e approfittato di mè—non fa niente deve arrivare una lacrima avanti a Dio che ti deve pagare perchè ia non sone una cattiva giovane; che vi credete che ia mi ho dato a cattive strade nè questo non lo farò mai mio caro non fa niente che mi sei levato l'onor mio o fatto ridere ai miei parenti i Dio mi aiuterà perchè ia sono orfane di madre mio padre sta in america e non ni sà niente di questo misfatto che si lo sapesse quello mi viene ad ucidere—il mese entrante parti da Napoli e vado a trani mi accompagnano i mie parenti e vado in casa della madre della zia e là o la dota di mia madre che mi possa maritare che ho anni diciotto ho ancora se tu tieni coscienza se tu hai cuore vieni dal mia zia a Napoli e venitemi ad onorare se poi non credete fate come ti piace e ti prego di non dir niente ai miei parenti di questa lettera vi saluto e sono tua Aff.ta
Antonietta.
* * * Questa lettera fu sequestrata presso una signora amica dell'Antonietta. Essa doveva spedirla a quel tale. Come non gliela spedi? Era scritta col lapis. Niente di più umano, di più anima, di più cuore di questa lettera scorretta e inelegante. È una cosa splendida. Ma certo il signor Potito, se l'avesse ricevuta, ne avrebbe riso coi compagni, per gli orrori di grammatica. Un furiere è istruito. * * * Ier l'altro la Canserano si precipitò dal terrazzo. Oggi doveva arrivare il marinaio… LE BEVITRICI DI SANGUE Dalle sette e mezzo della mattina fino alle dieci la carneficina delle vacche, al macello di Poggioreale, si compie tra uno strano affollamento di bevitrici di sangue, dura tra i desideri sanguinosi delle anemiche, delle clorotiche, delle povere fanciulle sbiancate in faccia come la cera. Esse accostano alle pallide labbra il bicchiere colmo di quello spumante vin delle vene e bevono d'un fiato, socchiusi gli occhi, la mano che leggermente trema. Intorno seguita la strage, tra un continuo romore di battiture, di tonfi sordi, di catene che si sciolgono, d'argani che rizzano i cadaveri ancor palpitanti delle povere bestie. Dopo bevuto il caldo sangue spicciato dalle carotidi incise, si passa in una stanzaccia nuda e sporca e lì si sciacquano le coraggiose bocche femminili e le mani insanguinate. A parte il bene che può

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Argomenti: povero ragazzo,    corpo inerte,    piccolo uomo,    candido seno,    moccichino scuro

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