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Mattinate napoletane di Salvatore Di Giacomo pagina 14l'animo—impossibile….. Questa è vita che non può durare… Si vestì e scese. Mettendo il piede nella strada si ricordò di non aver preso il paracqua. Stette un momento in forse se dovesse risalire o tirar via facendone a meno, tanto era un'acqueruggiola minuta che non faceva male e poi rifar daccapo settanta gradini era una cosa che lo seccava abbastanza. Si mise in cammino, scendendo per Toledo, con le mani in tasca e la testa china, tutto pensoso. Che si sentisse dentro lui stesso non lo sapeva: era un malessere, un'oppressione, un'insofferenza, che lo rendevano odioso a se stesso; fra tutto lo impensieriva ora come un intuito delle disillusioni che gli toccherebbe a sopportare; indovinava le aspettative insoddisfatte, cui da un momento all'altro si troverebbe di contro nella sua piccola vita serale, della quale si faceva il conto che il tempo cattivo dovesse romper le abitudini. Difatti entrando nel caffè ove gli amici erano soliti a raccogliersi accanto alla gran tavola di marmo, trovò ch'essa era deserta, e andò a sedervi aspettandoli. Chiese il caffè e gli parve addirittura acqua calda; lo sorbì tutto d'un sorso dopo averlo fatto raffreddare, non volendo avere la pazienza di centellinarlo col gusto che ci pigliava ogni sera. Nel caffè c'era una piccola orchestra che di colpo si mise a sonare un walzer fritto e rifritto, un'antipatia di musica frettolosa e saltellante, che mise una gaiezza stupida fra i consumatori. Lui, di faccia a un borghese, che batteva il tempo col cucchiaino nel vassoietto, si sentiva un formicolio nelle mani; gli avrebbe voluto buttar la chicchera in faccia. Cominciava a dolergli la testa; gli occhi, in quella nebbia, che il fumo dei sigari spandeva nel locale chiassoso, gli s'intorbidivano, e gli diventavan piccoli. A un momento, mentre uno spilungone di maestro di musica batteva sconciamente sui tasti del pianoforte, egli sentì il colpo secco e la vibrazione, per un secondo, d'una corda che si spezzava facendo «zin!», cosa che gli accapponò la pelle. S'alzò guardando all'orologio sul pancone del principale; erano le nove, gli amici non sarebbero più venuti. E, lentamente, con le labbra strette, infilò la porta che riusciva sulla piazzetta innanzi al Municipio. Pioveva sempre allo stesso modo. Lui si mise a camminar dritto avanti a sè, non sapendo che via pigliare per tornare a casa più presto, ora a piccoli passi, ora affrettandoli per trovarsi subito fra le sue quattro mura. E camminando si rodeva dentro con gli amici che non eran venuti, con la umana leggerezza che dimentica tutto, con sè stesso che era tanto ingenuo da contare su tutti. Avrebbe voluto che i compagni avessero indovinata la sua solitudine in quella sera, avrebbe voluto che fra essi uno solo almeno avesse pensato a farsi trovare per tenergli compagnia. I suoi nervi in quel momento avevano acquistata una tensione straordinaria. Gli scoppi rumorosi delle fruste, quando gli passavano accosto le vetture, lo irritavano, bestemmiava sottovoce, sbuffando, come inciampava nell'oscurità col piede in una rotaia di tranvai che lo sbalzava da un lato, sorprendendolo dolorosamente. La luce dei magazzini gli abbagliava gli occhi; a volte sentiva fra le spalle come delle punture di aghi, che gli davano per un momento l'irritazione d'una bestia inquieta. Ora si trovava di faccia al teatro S. Carlo. Entrò lentamente sotto il porticato. Si fermò a leggere un cartellone mezzo lacerato che pendeva a uno de' muri. S'accorse che sotto a quel muro una persona, che lui conosceva molto da vicino, stava tranquillamente accendendo un sigaro. Si adocchiarono nello stesso momento; Manlio s'accostò, con la mano stesa. —Buonasera, signor Roberto. —Buonasera, Manlio; come va? —Eh!—disse lui, facendo spallucce—Son seccato… L'altro, passando il sigaro nell'angolo delle labbra, fece per incamminarsi. Manlio gli tenne dietro, stringendoglisi accosto. Gli pareva, che quegli non gli avesse detto addio per stare un po' assieme, e intanto già s'annoiava della compagnia. Costui era un uomo in su i quaranta, scriveva per i giornali, era tenuto in molta stima nel suo paese e godeva d'una certa fama di serietà che lo onorava. Quella sera aveva l'aria d'uno cui è capitato un guaio e, piccolo piccolo com'era, col gran cappello su gli occhi, il bavero del soprabito alzato, faceva quasi compassione. Dopo un momento di silenzio, camminando sempre, disse: —Dove andate? —A casa. —Che brutto tempo!…—fece l'altro, senza guardarlo in faccia. —Tempo canaglia…—rispose Manlio, coi denti stretti. Vi fu un altro momento di silenzio, poi, lentamente, quello del sigaro mormorò con un risolino forzato: —Come mi vedete ho perduto poco fa duecento franchi. —Ah?—fece Manlio, senza commuoversi, come se non avesse capito bene. Poi non vi fu più una parola. Il signor Roberto camminava tutto astratto, a capo basso, studiandosi di mettere il piede sempre nel mezzo delle lastre del selciato, provando una piccola contrarietà quando per inavvertenza gli capitasse tra le commessure. Manlio non vedeva l'ora di toglierselo d'accosto. Ora una collera sorda lo irritava contro quest'uomo che perdeva duecento lire come se niente fosse e se ne andava passeggiando in una serata come quella. E l'altro, mentre badava stupidamente a regolare il piede in modo che si trovasse sempre nel mezzo del lastrone, pregava tutti i santi perchè mandassero via questo giovinotto pittimoso, del quale la muta e pesante compagnia gli cadeva addosso come un incubo. Così per venti minuti di cammino, tornando a poco a poco ciascuno alle sue idee nere, quasi non accorgendosi più della loro vicinanza, non aprirono bocca. A un punto, sul marciapiedi poco discosto dalla casa di Manlio, una donna, una signora bellissima, sola, stretta in un lungo sciallo nero, alta, pallida, fiera, passò loro accosto. Fu come una visione. —Che bella donna!—mormorò Manlio, come parlando a se stesso. —Bellissima…—sospirò l'altro, senza alzar gli occhi. Di colpo si guardarono, si tesero le mani contemporaneamente, stringendosele. Si erano fermati per un secondo. —Addio—disse il signor Roberto. —Addio—rispose Manlio. Lentamente entrò nel palazzo ove abitava e si mise a salir le scale. Quando fu in casa, senza togliersi il soprabito umido, buttò sulla tavola il cappello a cencio, provando uno strano batticuore, un'emozione nuova e misteriosa. Tentò di mettersi a scrivere, pensando che questo dovesse distrarlo, compilando in mente, rannicchiato sulla seggiola innanzi al tavolino, una lettera alla mamma, piena di tenerezze e di sfoghi. Ma quando cercò intorno i fiammiferi si ricordò d'averli dimenticati al caffè. E innanzi a questa piccola contrarietà ebbe un momento di immensa disperazione. Si gettò bocconi sul lettuccio, mordendo nella furia il cuscino, torcendo le lenzuola nel pugno, singhiozzando. Pioveva sempre, ma la pioggia non batteva ai vetri con lo stesso ritmo dolce delle lunghe serate in famiglia nè alcun lume nella stanzuccia poteva mostrargli la faccia pallida e sorridente della madre e in fondo, nella penombra, il lettuccio della piccola sorella dormente. Così, in quella triste serata umida e tetra, in quello scompiglio nervoso che infuriava nel suo morale tormentandogli il fisico a scosse dolorose, egli, solo, solo nella sua amarezza, in quella oscurità fitta della cameretta, si mise a urlare come un pazzo. SUOR CARMELINA Giugno 1886. Tra le suore dello spedale X…. ho conosciuto, tempo fa, Suor Carmelina, una giovane donna sottile e bianca, bianca come una Vergine di cera, pallida come un'ostia nell'ombra. I malati la chiamavano la santarella; ella sorrideva sempre, parlava sempre sottovoce, pronunciava s la z e tratto tratto diceva a' malati: Benedeto! Benedeto da Dio! Era veneziana, tutta piena di quella dolcezza de' modi e dell'anima onde quei del veneto son pieni. Come era divenuta monaca? Nessuno me lo seppe dire. E da quanto tempo ella aveva abbandonato il Tag: momento sempre mise tutto piccola uno occhi accosto tempo Argomenti: giovane donna, tempo cattivo, colpo secco, cartellone mezzo, ritmo dolce Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Stanze della gelosia di Torquato Tasso I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi La trovatella di Milano di Carolina Invernizio La via del rifugio di Guido Gozzano Corbaccio di Giovanni Boccaccio Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Catturare farfalle per allevarle Offerte Capodanno Bali Il trucco giusto per gli occhi scuri Lisbona, città da vedere e da sentire Alla scoperta della Nuova Zelanda
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