Libro proibito di Antonio Ghislanzoni pagina 9

Testo di pubblico dominio

Italia
Fra chi in alto è salito e chi si arrampica.
«Passò quel tempo.» Anch'io nelle effemeridi
Da un soldo strimpellai guerra e politica,
E logoro il cervello e guasto il fegato
Mi ho nel vano armeggío. Non trova grazia
Lo schietto vero. Parteggiare, fremere,
Al suon della gran cassa ampolle vacue
Lanciare al vento; reboänti e rancide
Frasi accozzando, inacidir la cronaca
Di sospetti, di oltraggi e di calunnie,
Diluïr telegrammi, imbrattar storie….
Avventarsi…. strisciar…. leccare…. mordere…
Tale è il mestier—Direte: è mestier facile….
Pur (vedete, dottor, com'io fui tanghero!)
Nulla azzeccato ho mai—Italia, patria,
Ordine, libertà, fede ai principii,
Democrazia—palle di gomma elastica
Pel cerretano giocator di bossolo—Serie
cose io credea. Modesto e ingenuo
Esposi il pensier mio; però dai circoli
Dei pusilli gaudenti ove si biascica
La nenia eterna del quïeto vivere,
Nè dai cupi, frementi conciliaboli
Ove ringhian tribuni e arruffapopoli,
Il verbo io presi mai. Prostrarmi agli idoli
Non sèppi. Liberal, volli esser libero[2];
E sì libero fui, che al breve svolgersi
Di quattro o cinque mesi, in abbominio
Venni ai rossi ed ai bianchi, e fu miracolo
Se n'uscii vivo—Bah! quelli gridavano:
Ei s'è fatto codino! alla politica
Di Cavour tien bordone—E questi: «o scandalo!
Ei plaude a Garibaldi ed osa irridere
Qualche nostra Eccellenza!»—Mo! vedetelo!
Ripiglian quelli: il rattoppato e logoro
Abito ha smesso, ed anco ieri il rancio
Pagò al trattor: fondi segreti—«Ei bazzica
Cogli scavezzacolli democratici,
Notan gli altri: badate! di repubblica
E socialismo puzzan le parentesi
Del testo scapigliato—Esser veridico
E leal che mi valse?—Dai sinedrii
Onnipotenti fui reietto; incomodo
Collega a tutti, quei la man ritrassero
Dalla mia dubitosi; mi guardarono
Biechi gli altri ringhiando: al mercenario
Scriba il gibbetto! Intanto si sciupavano
Per me gli anni più baldi in acri e sterili
Guerriglie di parole. Addio, fantastiche
Scorrerie del pensier! Gli estri languirono,
Morì la celia, ogni gentil tripudio
Cessò. Giocondo novellier nei circoli
Più non mi assisi; si converse in rantolo
La gaia nota, e dentro l'interlinea
In gerghi irosi si disciolse il fegato.
Un dì, allo specchio mi guardai; di nivei
Peli la barba, di due solchi lividi
Deforme il volto mi apparì. All'occipite
Stesi la mano, e delle dita il brivido
Intonsurata mi annunziò la cherica.
Gran che! «Alla fibra macerata i redditi
Del prostituto inchiostro un di fien lauto
Compenso, e all'ossa dispolpate l'adipe
Rifiorirà.» Quei che così ringhiavano
Al mio garretto, oggi, impinguati e tronfii
Di ricchezze e poter, dall'alto irridono
La nostra grulleria. Nè a torto ridono….
Ben io, pensando quali a me sovvennero
Fondi segreti, oggi crisparsi i visceri
Mi sento ancora. Le ipoteche rosero
Fin la casuccia ov'io sperava gli ultimi
Miei giorni ricovrar..,. Narri il tipografo
La tetra istoria; questo sol rammemoro
Che la stoltezza di parlare e scrivere
L'abbominato vero, un dì sul lastrico
Mi gettò inebetito.—Eppur: che valsemi
Vender case e poderi? Mi investirono
Con briaco furor mastini e botoli
Di fronte e a tergo; più rabbiosi a mordermi
Ruffiani, spie e ciurmadori in maschera
Da Catoni o da Bruti, che vedevansi
Poi, nelle agapi oscene e nei postriboli,
I dì e le notti gavazzar coll'obolo
Smunto ai citrulli. Oggi, i citrulli godano
Le ben compre lautezze, e prestin gli omeri
Ai nuovi furbi che salir domandano
L'albero di cuccagna! Alla politica
Ho detto addio. Merlo spennato, ai liberi
Miei monti ricovrai; di nuovo ossigene
Il polmon ritemprato, oggi dal vertice
Alla bassa cloäca io guardo, e zuffolo
Allegramente. Che mi cal se chiaminsi
Sella, Minghetti, Visconti o Nicòtera
I rettori d'Italia? O se alla greppia
Dello Stato oggi rumini l'apostata
Che or fan sei mesi ancor fremea repubblica!
Se il giocoliere, rimestando il bossolo,
La rubra palla destramente in lattea
Ciambella tramutò, non io sorprendermi
Oggi potrei. Plauda chi vuole o strepiti
Di rabbiose invettive, io so qual termine
Avrà la farsa. Al sine cura, al ciondolo,
Al lauto appalto, al grasso impiego mirano
Quei che belan sommessi e quei che latrano.
Gli schietti e i buoni dalla mischia ignobile
Si ritraggon sdegnosi; e solitario
Quegli ascende la balza e canta ai vertici
Le divine utopie; questi le libere
Idee fischiate dall'ottuso secolo
Fida nell'orto alle cipolle e ai rapani.
È il partito più saggio. Italia novera
Settemila giornali ove colluviano
L'oscena feccia, il brago, ogni putredine
Della Reggia e del trivio. Ivi si abbeveri
E diguazzi a suo prò chi vuol nei colici
Flussi l'alma stemprarsi, o d'itterizia
Morir consunto.—Dismorbiamo l'aëre.
Caro dottore, e intorno a noi si dissipi
Il reo miäsma che ne investe! Giovani
Ci rifarem. Schiudiam la casa ai lepidi
Amici; suoni di festose musiche
11 salottino, e più chiassosi irrompano
I repressi cachinni. Ospite assidua
Fra noi respiri la gajezza; scoppino
Gli epigrammi, i bei motti, le facezie,
Gli aneddoti giocondi—e in noi riflettasi
L'ilarità di tutti. Sulle pagine
Non ammorbate dalla rea politica
Gli odii e i rancor svaniscono, si appianano
I più tetri cipigli, e dell'innocuo
Lepor le donne amabilmente ridono.
SCUOLA MODERNA[3] —Al diavolo l'estetica,
La logica, il buon senso,
E l'idëal melenso!
Poichè l'arte pöetica
Dai vecchi impacci è sciolta,
Farò il comodo mio….
E spero questa volta
Coi famosi del secolo
Salire agli astri anch'io.
—Il verno io canto, il verno,
La stagione crudele—
Stanotte il Padre Eterno
In cima alla montagna
Ha fatto il lattemiele….
E gli Aquiloni batton la campagna.
—Al piè del Resegone
Ve'! come il lago fuma
Immoto, senza schiuma!…
Visto dal mio balcone
Il gelido cratère
Sembra la catinella d'un barbiere
A cui mancò il sapone.
—Dalle nuvole rotte
Il sole ad intervalli
In berretta da notte
Mette fuori la faccia stralunata,
Sbadigliando di noja—
E frattanto, di neve disgelata
Sgocciola la tettoia,
Come il nasuccio d'uno scolaretto
Che smarrì il fazzoletto.
—Al margine del fosso
Sulla morta natura
Squittisce un pettirosso,
Coll'aria d'un becchino,
Che d'una vergin sulla sepoltura
Legga ghignando un romanzo di Dròz,
O si sfiati a trillar sull'ottavino
Un tema di Berliòz.
—Se scendo all'orticello,
Cui bieco irride il sole,
Le assiderate aiuole
Mi chieggono un mantello….
Gli alberi incappucciati
Come convalescenti
Ringhiano da dannati:
Dio! che dolor di denti!
—Pur, dai gracili steli
Una pallida rosa piccioletta
In bianca parrucchetta
Sfida il rigor dei geli;
Tanto bella e gentil, che la diresti
Ai languidi colori, ai tratti mesti,
La crèola di Balzac,
Una smilza figura
Di Dorè, di Kaulbach,
Una giovin marchesa in miniatura.
Se non temessi offenderti,
Piccola Pompadour,
Vorrei offrirti un cigaro Cavour!
—Là, sulla opposta riva,
Poderosa, anelante,
Una locomotiva
Fra i gioghi si

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