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Libro proibito di Antonio Ghislanzoni pagina 10

Testo di pubblico dominio

allontana,
Come un tetro elefante
Che sbuffi il fumo d'un superbo avana.
E dietro a quella sfilano schierati
Dieci vagoni in sembianza di abati
Che vanno al Giubileo
Grugnendo il Laus Deo!
—Sull'ultimo vagone
Gaia e modesta ascendi,
O mia nuova Canzone;
E nella letteraria sinagoga
Se mai, per caso, apprendi
Che oggigiorno hanno voga
Dei carmi così fatti,
Raccomanda a chi studia pöesia
Di andare a scuola all'ospedal dei matti.
L'UOMO-PALETOT Questi, che vedi muoversi
Se per le vie ti inoltri,
Son uomini o soprabiti?
Son soprabiti o coltri?
Uomini son, dal lùgubre
Saio così sformati,
Che, a vederli, ti paiono
Armadii impelliciati.
Un dì, se più farnetichi
Della moda il capriccio,
Costor vedrem per tunica
Vestire un pagliericcio.
E son gli elegantissimi….
Sono i liòns dei corsi!
Eh! via! ribattezzatevi
Ippopotami od orsi!
Se d'uomo qualche pallida
Sembianza ancor serbate,
In voi tre tipi adunansi:
Birro, bromista e frate.
Taluni, poi, che il bàvero
Sovrappongono e il fiocco,
Dite un po': non vi porgono
L'effigie di San Rocco?
Cotanta mole d'abiti
È lusso od è miseria?
O forse che in Italia
Fa il gel della Siberia?
Il Buon Dio, che dei tangheri
Talor si piglia scherno,
Quest'anno per deridervi
Quasi abolì l'inverno;
E in gennaio, investendovi
Coll'afa della state,
Gridò dal cielo: «bestie,
Mo', adesso…. soffocate!»
Buon Dio, la è troppa grazia
Se ridi e non ti sdegni;
Qual gente mai, quai popoli
Dell'ira tua più degni?
Nè stupirei che all'impeto
Dei gelidi aquiloni,
Un dì per noi mutassero
Il clima e le stagioni;
Per noi, che nati ai limpidi
Raggi d'un ciel clemente,
In grembo a questa Italica
Terra di fior ridente,
Invidïam, per stolida
Moda o per goffa insania,
I ghiacci alla Siberia,
Le nebbie alla Germania.
E già di nebbia nordica
L'Italia è tutta piena,
Nè i carmi un raggio vibrano
Di poesia serena;
Nè più dall'aspre musiche,
Gonfie di spurie note,
Esce il sussulto e il fremito
Che l'anima ti scuote.
Divina Arte, che in Grecia
Ignuda eri sì bella,
Smetti tu almen fra gli itali
La nordica gonnella;
Cinta d'un vel diafano,
Sciolta la chioma ai venti,
Delle tue forme vergini
Esci a bear le genti.—
Ti acclamerem qual nunzia
D'una invocata aurora,
E direm che l'Italia
Del sol la terra è ancora.
VOLERE È POTERE[4] Novella. Un tal Stucchi Tommaso
Del päesel di Arona
Avea letto per caso
Un libro del Lessona,
Dove, con molti esempi
Dei vecchi e nuovi tempi,
Chiaro si fa vedere
Che volere è potere.
—«Volere!…. è presto fatto….
Se tanto il voler giova,
Converrebbe esser matto
Per non tentar la prova….
Io non domando onori,
Non titoli o favori,
Di gloria io non mi picco,
Ma…. voglio farmi ricco.
Or più non mi imbarazza
La scelta del mestiere,
Apro uno studio in piazza,
Mi intitolo banchiere;
Se ad iniziar la banca
Il capital mi manca,
Poichè basta volerlo,
Sò come posso averlo.
Ciò detto, il buon Tommaso
Si recò da un notaro,
Franco gli espose il caso,
Gli domandò il denaro;
Ma quei, con faccia bieca;
«Che mi da in ipoteca?
—Nulla—Nulla!…. ho capito
Non posso!…. affar finito.»
—Non può?…. Lei mi canzona!
Tal scusa più non va:
Non ha letto il Lessona?
Lo voglia e lo potrà»
L'altro lo guarda in viso
Con cinico sorriso,
E per uscir di imbroglio,
Conclude: ebben, non voglio!
Ricorse l'indomani
Agli amici, ai parenti;
N'ebbe discorsi vani,
Promesse, complimenti,
Consigli che mordevano,
Sorrisi che parevano
Dirgli: qui tutto avrete
Fuor quello che volete.
E sorse un dubbio in lui:
«Che della vita al gioco
Anche il volere altrui
Debba contare un poco?
Dalle prove che ho fatto
Parrebbe…. Eh! via!…. son matto!
Che colpa ci ha il Lessona
S'io son nato ad Arona?
«Nei piccoli paësi
Piccole le risorse….
Qui gli uomini scortesi,
Qui stitiche le borse;
E poi, nemo propheta
In patria—è storia vieta;
Per ritentar le prove
Convien ch'io vada altrove.
Solo, a piedi, di notte,
Partì senza un quattrino,
E colle scarpe rotte
Un giorno entrò in Torino
Sclamando: «qui ho voluto
Venire, ed ho potuto;
Volendolo, mi pare,
Ora potrò mangiare.»
Infatti, appena scorta
L'insegna di un trattore,
Maso varcò la porta
Con passo da signore;
Sedette, fu servito,
E sazio l'appetito,
Pensò: volevo un pranzo,
L'ottenni, e n'ho d'avanzo.
Ma quando il cameriere
Venne a portargli il conto,
Gli parve che al volere
Fosse il poter men pronto—
Il garzonetto attese
Alquanto, e poi gli chiese:
Vuol altro?—Ora, mio caro,
Vorrei….—Cosa?—Il denaro.
—Denaro!—Certamente….
Tu sai che le parole
Oggi non valgon niente,
E per pagar ci vuole
Denaro; or, come averlo
Potrei senza volerlo?….
—Mi paghi, faccia presto!
—Voglio il denar per questo!
Ed ecco, mentre dura
La strana discussione,
Due guardie di questura
Si avanzan col padrone
—Sentiamo!…. cos'è stato?….
Tommaso in tuon pacato
Risponde: «del diverbio
Fu origine un…. proverbio.»
«Tutto si può, volendo,
Lo dice il testo, ed io
Agli altri esempi intendo
Unir l'esempio mio—
Venir volli a Torino
E feci a piè il cammino,
Qui volli entrar, entrai;
Volli pranzar, pranzai.»
—Ed ora?—Or non avendo
Denaro…. è naturale….
Ch'io voglia….—Intendo! intendo!
Ci segua!…. Al Criminale
Verrà stanotte a cena;
La casa è tutta piena
Di gente che ha voluto
E mai non ha potuto.
In carcere il tapino
Fu trattenuto un mese;
Quindi, lasciò Torino,
Tornò nel suo paëse,
Dove il volere altrui
Fu tanto avverso a lui,
Che, stanco di soffrire,
Gridò: voglio morire!
Ai gridi disperati
Fortuna non è sorda;
Tra ferri e cenci usati
Trovò un chiodo e una corda:
Confisse a un muro il chiodo,
Fece alla corda un nodo,
Pose nel cappio il collo.
E diè l'estremo crollo.
Così dal mondo è uscito
Il povero Tommaso;
E forse egli è partito
Convinto e persuäso
Che quand'un, per disfarsi
Dai guai, vuole appiccarsi,
Non sempre, ma però
Qualche volta lo può.
NOTE ALLE POESIE SATIRICHE [1] Questi versi furono stampati nel Giornale Capriccio. [2] Dovranno correre ancora molti anni prima che in Italia si comprenda che cosa significhi Libertà, quali diritti essa accordi, e quali doveri imponga ai singoli cittadini. Un saggio del come si intendano e si esercitino i diritti liberali nel nostro paese io l'ho dato anni sono nel breve scritto che amo qui riprodurre. LAMENTAZIONE DI UN LIBERO CITTADINO Il cielo era folto di nuvole. La pioggia cadeva a torrenti…. E in quella giornata (non ricordo se fosse di giugno o di luglio) sfolgorava, per la prima volta sulle pianure di Lombardia il

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Argomenti: libero cittadino

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