Le smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni pagina 13

Testo di pubblico dominio

(in atto di partire). Scena undicesima Guglielmo, e detti. GUGLIELMO Signore, le ventuna sono poco lontane. Se comandate anderò io a sollecitare i cavalli. FULGENZIO Cosa vedo? Guglielmo? FILIPPO (Che tu sia maladetto!) No, no, non importa; non si partirà più così presto. Ho qualche cosa da fare... (Non so nemmeno quel, che mi dica). FULGENZIO Si va in campagna, signor Guglielmo? GUGLIELMO Per obbedirla. FILIPPO (Io non ho coraggio di dirgli niente). FULGENZIO E con chi va in campagna, se è lecito? GUGLIELMO Col signor Filippo. FULGENZIO In carrozza con lui? GUGLIELMO Per l'appunto. FULGENZIO E colla signora Giacinta? GUGLIELMO Sì, signore. FULGENZIO (Buono!) FILIPPO O via, andate a sollecitare i cavalli (a Guglielmo). GUGLIELMO Ma se dite, che vi è tempo. FILIPPO No, no, andate, andate. GUGLIELMO Io non vi capisco. FILIPPO Fate, che diano loro la biada, e fatemi il piacere di star lì presente, perché la mangino, e che gli stallieri non gliela levino. GUGLIELMO La pagate voi la biada? FILIPPO La pago io. Andate. GUGLIELMO Non occorr'altro. Sarete servito (parte). Scena dodicesima Fulgenzio e Filippo. FILIPPO (Finalmente se n'è andato). FULGENZIO Bravo, signor Filippo. FILIPPO Bravo, bravo... quando si dà una parola... FULGENZIO Sì, mi avete dato parola, e me l'avete ben mantenuta. FILIPPO E non aveva io data prima la parola a lui? FULGENZIO E se non volevate mancar a lui, perché promettere a me? FILIPPO Perché aveva intenzione di fare quello, che mi avete detto di fare. FULGENZIO E perché non l'avete fatto? FILIPPO Perché... d'un male minore, si poteva fare un male peggiore; perché avrebbero detto... perché avrebbero giudicato... oh, cospetto di bacco! Se aveste sentito le ragioni che ha detto mia figlia, vi sareste ancora voi persuaso. FULGENZIO Ho capito. Non si tratta così coi galantuomini pari miei. Non sono un burattino da farmi far di queste figure. Mi giustificherò col signor Leonardo. Mi pento d'esserci entrato. Me ne lavo le mani, e non c'entrerò più (in atto di partire). FILIPPO No, sentite. FULGENZIO Non vo' sentir altro. FILIPPO Sentite una parola. FULGENZIO E che cosa mi potete voi dire? FILIPPO Caro amico, sono così confuso, che non so in che mondo mi sia. FULGENZIO Mala condotta, scusatemi, mala condotta. FILIPPO Rimediamoci per carità. FULGENZIO E come ci volete voi rimediare? FILIPPO Non siamo in tempo ancora di licenziare il signor Guglielmo? FULGENZIO Non l'avete mandato a sollecitare i cavalli? FILIPPO Per levarmelo d'attorno, che miglior pretesto potea trovare? FULGENZIO E quando tornerà coi cavalli? FILIPPO Sono in un mare di confusioni. FULGENZIO Fate così, piuttosto tralasciate d'andare in campagna. FILIPPO E come ho da fare? FULGENZIO Fatevi venir male. FILIPPO E che male m'ho da far venire? FULGENZIO Il cancaro che vi mangi (sdegnato). FILIPPO Non andate in collera. Scena tredicesima Leonardo, e detti. LEONARDO Ho piacere di ritrovarvi qui tutti e due. Chi è di voi, che si prende spasso di me? Chi è, che si burla de' fatti miei? Chi mi ha fatto l'insulto? FULGENZIO Rispondetegli voi (a Filippo). FILIPPO Caro amico, rispondetegli voi (a Fulgenzio). LEONARDO Così si tratta coi galantuomini? Così si tratta coi pari miei? Che modo è questo? Che maniera impropria, incivile? FULGENZIO Ma rispondetegli (a Filippo). FILIPPO Ma se non so cosa dire! (a Fulgenzio). Scena quattordicesima Giacinta e detti. GIACINTA Che strepito è questo? Che piazzate son queste? LEONARDO Signora, le piazzate non le fo io. Le fanno quelli, che si burlano de' galantuomini, che mancano di parola, che tradiscono sulla fede. GIACINTA Chi è il reo? Chi è il mancatore? (con caricatura). FULGENZIO Parlate voi (a Filippo). FILIPPO Favoritemi di principiar voi (a Fulgenzio). FULGENZIO Orsù, ci va del mio in quest'affare. Poiché il diavolo mi ci ha fatto entrare, a tacere ci va del mio, e se non sa parlare il signor Filippo, parlerò io. Sì, signora. Ha ragione il signor Leonardo di lamentarsi. Dopo avergli dato parola, che il signor Guglielmo non sarebbe venuto con voi, mancargli, farlo venire, condurlo in villa, è un'azion poco buona, è un trattamento incivile. GIACINTA Che dite voi, signor padre? FILIPPO Ha parlato con voi. Rispondete voi. GIACINTA Favorisca in grazia, signor Fulgenzio, con qual autorità pretende il signor Leonardo di comandare in casa degli altri? LEONARDO Con quell'autorità che un amante... GIACINTA Perdoni, ora non parlo con lei (a Leonardo). Mi risponda il signor Fulgenzio. Come ardisce il signor Leonardo pretendere da mio padre, e da me, che non si tratti chi pare a noi, e non si conduca in campagna chi a lui non piace? LEONARDO Voi sapete benissimo... GIACINTA Non dico a lei; mi risponda il signor Fulgenzio. FILIPPO (Oh! non sarà vero degli amoretti, non parlerebbe così). FULGENZIO Poiché volete, che dica io, dirò io. Il signor Leonardo non direbbe niente, non pretenderebbe niente, se non avesse intenzione di pigliarvi per moglie. GIACINTA Come! Il signor Leonardo ha intenzione di volermi in isposa? (a Fulgenzio). LEONARDO Possibile, che vi giunga nuovo? GIACINTA Perdoni. Mi lasci parlar col signor Fulgenzio (a Leonardo). Dite, signore, con qual fondamento potete voi asserirlo? (a Fulgenzio). FULGENZIO Col fondamento, che io medesimo, per commissione del signor Leonardo, ne ho avanzata testé a vostro padre la proposizione. LEONARDO Ma veggendomi ora sì maltrattato... GIACINTA Di grazia, s'accheti. Ora non tocca a lei; parlerà, quando toccherà a lei (a Leonardo). Che dice su di ciò il signor padre? FILIPPO E che cosa direste voi? GIACINTA No, dite prima quel, che pensate voi. Dirò poi quello, che penso io. FILIPPO Io dico che, in quanto a me, non ci avrei difficoltà. LEONARDO Ma io dico presentemente... GIACINTA Ma se ancora non tocca a lei! Ora tocca parlare a me. Abbia la bontà d'ascoltarmi, e poi, se vuole, risponda. Dopo che ho l'onor di conoscere il signor Leonardo, non può egli negare, ch'io non abbia avuto per lui della stima; e so, e conosco, ch'ei ne ha sempre avuta per me. La stima a poco a poco diventa amore, e voglio credere che egli mi ami, siccome, confesso il vero, non sono io per lui indifferente. Per altro, perché un uomo acquisti dell'autorità sopra una giovane non basta un equivoco affetto, ma è necessaria un'aperta dichiarazione. Fatta questa, non l'ha da saper la fanciulla solo, l'ha da saper chi le comanda, ha da esser nota al mondo, s'ha da stabilire, da concertare colle debite formalità. Allora tutte le finezze, tutte le attenzioni hanno da essere per lo sposo, ed egli acquista qualche ragione, se non di pretendere, e di comandare, almeno di spiegarsi con libertà, e di ottenere per convenienza. In altra guisa può una figlia onesta trattar con indifferenza, e trattar tutti, e conversare con tutti, ed esser egual con tutti; ma non può, e non deve usar distinzioni, e dar nell'occhio, e discreditarsi. Con quella onestà, con cui ho trattato sempre con voi, ho trattato col signor Guglielmo, e con altri. Mio padre lo ha invitato con noi, ed io ne sono stata contenta, come lo sarei stata d'ogni altro; e vi lagnate a torto, se di lui, se di me, vi dolete. Ora poi che dichiarato vi siete, ora, che rendete pubblico l'amor vostro, che mi fate l'onore di domandarmi in isposa, e che mio padre lo sa, e vi acconsente, vi dico, che io ne sono contenta, che mi compiaccio dell'amor vostro, e vi ringrazio della vostra bontà. Per l'avvenire tutte le distinzioni saranno vostre, vi si convengono, le potrete pretendere, e le otterrete. Una cosa sola vi chiedo in grazia, e da questa grazia può forse dipendere il buon concetto, ch'io deggio formar di voi, e la consolazione d'avervi. Vogliatemi amante, ma non mi vogliate villana. Non fate, che i primi segni del vostro amore siano sospetti vili, difidenze

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