Le smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni pagina 11

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ancor io, ma vedrete, che sarà impossibile. FULGENZIO E perché impossibile? LEONARDO Perché tutti vanno, e il signor Filippo vorrà andare, e la signora Giacinta infallibilmente oggi vorrà partire, e mia sorella mi tormenta all'estremo per l'impazienza d'andare, e per cento ragioni io non mi potrò trattenere. FULGENZIO Poh! fin dove è arrivata la passione del villeggiare! Un giorno pare un secolo. Tutti gli affari cedono; via, anderò subito; vi servirò, vi soddisfarò. Ma caro amico, soffrite dalla mia sincerità due parole ancora. Maritatevi per far giudizio, e non per essere piucché mai rovinato. So, che le cose vostre non vanno molto felicemente. Otto mila scudi di dote vi possono rimediare; ma non gli spendete intorno di vostra moglie, non li sacrificate in villeggiatura; prudenza, economia, giudizio. Val più il dormir quieto, senza affanni di cuore, di tutti i divertimenti del mondo. Fin che ce n'è, tutti godono. Quando non ce n'è più, motteggi, derisioni, fischiate, scusatemi. Vado a servirvi immediatamente (parte). Scena seconda Leonardo, poi Cecco. LEONARDO Eh! dice bene; mi saprò regolare; metterò la testa a partito. Ehi, chi è di là? CECCO Signore. LEONARDO Va' subito dal signor Filippo, e dalla signora Giacinta. Di' loro, che mi sono liberato da' miei affari, e che oggi mi darò l'onore di essere della loro partita per Montenero. Soggiungi, che avrei una compagnia da dare a mia sorella in calesso, e che, se me lo permettono, andrò io nella carrozza con loro. Fa' presto, e portami la risposta. CECCO Sarà obbedita. LEONARDO Di' al cameriere, che venga qui, e che venga subito. CECCO Sì, signore. (Oh quante mutazioni in un giorno!) (parte). Scena terza Leonardo, poi Paolo. LEONARDO Ora, che nella carrozza loro non va Guglielmo, non ricuseranno la mia compagnia; sarebbe un torto manifesto, che mi farebbono. E poi se il signor Fulgenzio gli parla, se il signor Filippo è contento di dare a me sua figliuola, come non dubito, la cosa va in forma; nella carrozza ci ho d'andar io. Con mia sorella vedrò, che ci vada il signor Ferdinando. Già so, com'egli è fatto, non si ricorderà più quello, che gli ho detto. PAOLO Eccomi a' suoi comandi. LEONARDO Presto, mettete all'ordine quel, che occorre, e fate ordinare i cavalli, che a ventun'ora s'ha da partire. PAOLO Oh! bella! LEONARDO E spicciatevi. PAOLO E il desinare? LEONARDO A me non importa il desinare. Mi preme, che siamo lesti per la partenza. PAOLO Ma io ho disfatto tutto quello, che aveva fatto. LEONARDO Tornate a fare. PAOLO È impossibile. LEONARDO Ha da esser possibile, e ha da esser fatto. PAOLO (Maledetto sia il servire in questa maniera). LEONARDO E voglio il caffè, la cera, lo zucchero, la cioccolata. PAOLO Io ho reso tutto ai mercanti. LEONARDO Tornate a ripigliare ogni cosa. PAOLO Non mi vorranno dar niente. LEONARDO Non mi fate andar in collera. PAOLO Ma, signore... LEONARDO Non c'è altro da dire. Spicciatevi. PAOLO Vuole che gliela dica? Si faccia servire da chi vuole, ch'io non ho abilità per servirla. LEONARDO No, Paolino mio, non mi abbandonate. Dopo tanti anni di servitù, non mi abbandonate. Si tratta di tutto. Vi farò una confidenza non da padrone, ma da amico. Si tratta, che il signor Filippo mi dia per moglie la sua figliuola, con dodici mila scudi di dote. Volete ora, ch'io perda il credito? Mi volete vedere precipitato? Credete, ch'io sia in necessità di fare gli ultimi sforzi per comparire? Avrete core ora di dirmi, che non si può, che è impossibile, che non mi potete servire? PAOLO Caro signor padrone, la ringrazio della confidenza, che si è degnato di farmi: farò il possibile; sarà servita. Se credessi di far col mio, la non dubiti, sarà servita (parte). Scena quarta Leonardo, poi Vittoria. LEONARDO È un buon uomo, amoroso, fedele; dice, che farà, se credesse di far col suo. Ma m'immagino già, che quel che ora è suo, una volta sarà stato mio. Frattanto vo' rimettere in ordine il mio baule. VITTORIA Orsù, signor fratello, vengo a dirvi liberamente, che da questa stagione in Livorno non ci sono mai stata, e non ci voglio stare, e voglio andare in campagna. Ci va la signora Giacinta, ci vanno tutti, e ci voglio andar ancor io (con caldo). LEONARDO E che bisogno c'è, che mi venite ora a parlare con questo caldo? VITTORIA Mi scaldo; perché ho ragione di riscaldarmi, e andrò in campagna con mia cugina Lucrezia, e con suo marito. LEONARDO E perché non volete venire con me? VITTORIA Quando? LEONARDO Oggi. VITTORIA Dove? LEONARDO A Montenero. VITTORIA Voi? LEONARDO Io. VITTORIA Oh! LEONARDO Sì, da galantuomo. VITTORIA Mi burlate? LEONARDO Dico davvero. VITTORIA Davvero, davvero? LEONARDO Non vedete, ch'io fo il baule? VITTORIA Oh! fratello mio, come è stata? LEONARDO Vi dirò: sappiate che il signor Fulgenzio... VITTORIA Sì, sì, mi racconterete poi. Presto, donne, dove siete? Donne, le scattole, la biancheria, le scuffie, gli abiti, il mio mariage (parte). Scena quinta LEONARDO, poi CECCO. LEONARDO È fuor di sé dalla consolazione. Certo, che se restava in Livorno, non le se poteva dare una mortificazione maggiore. E io? Sarei stato per impazzire. Ma! il puntiglio fa fare delle gran cose. L'amore fa fare degli spropositi. Per un puntiglio, per una semplice gelosia, sono stato in procinto di abbandonare la villeggiatura. CECCO Eccomi di ritorno. LEONARDO E così, che hanno detto? CECCO Li ho trovati padre, e figlia, tutti e due insieme. M'hanno detto di riverirla; che avranno piacere della di lei compagnia per viaggio, ma che circa il posto nella carrozza, abbia la bontà di compatire, che non la possono servire, perché sono impegnati a darlo al signor Guglielmo. LEONARDO Al signor Guglielmo? CECCO Così m'hanno detto. LEONARDO Hai tu capito bene? Al signor Guglielmo? CECCO Al signor Guglielmo. LEONARDO No, non può essere. Sei uno stolido, sei un balordo. CECCO Io le dico, che ho capito benissimo, e in segno della mia verità, quando io scendeva le scale, saliva il signor Guglielmo col suo servitore col valigino. LEONARDO Povero me! non so dove mi sia. Mi ha tradito Fulgenzio, mi scherniscono tutti, son fuor di me. Sono disperato (siede). CECCO Signore. LEONARDO Portami dell'acqua. CECCO Da lavar le mani? LEONARDO Un bicchier d'acqua, che tu sia maladetto (s'alza). CECCO Subito. (Non si va più in campagna) (parte). LEONARDO Ma come mai quel vecchio, quel maladetto vecchio, ha potuto ingannarmi? L'averanno ingannato. Ma se mi ha detto, che Filippo ha con esso lui degli affari, in virtù dei quali non lo poteva ingannare; dunque il male viene da lui; ma non può venire da lui. Verrà da lei, da lei; ma non può venire nemmeno da lei. Sarà stato il padre; ma se il padre ha promesso. Sarà stata la figlia; ma se la figlia dipende. Sarà dunque stato Fulgenzio; ma per qual ragione mi ha da tradire Fulgenzio? Non so niente, son io la bestia, il pazzo, l'ignorante... CECCO (viene coll'acqua). LEON Sì, pazzo, bestia (non vedendo Cecco). CECCO Ma! perché bestia? LEONARDO Sì, bestia, bestia (prendendo l'acqua). CECCO Signore, io non sono una bestia. LEONARDO Io, io sono una bestia, io (beve l'acqua). CECCO (In fatti le bestie bevono l'acqua, ed io bevo il vino). LEONARDO Va' subito dal signor Fulgenzio. Guarda, s'è in casa. Digli, che favorisca venir da me, o che io andrò da lui. CECCO Dal signor Fulgenzio, qui dirimpetto? LEONARDO Sì, asino, da chi dunque? CECCO Ha detto a me? LEONARDO A te. CECCO (Asino, bestia, mi pare che sia tutt'uno) (parte). Scena sesta Leonardo, poi Paolo. LEONARDO Non porterò rispetto alla sua vecchiaia, non porterò rispetto a nessuno. PAOLO Animo, animo, signore, stia allegro, che tutto sarà preparato. LEONARDO Lasciatemi stare. PAOLO Perdoni; io ho fatto il debito mio, e più del debito mio. LEONARDO Lasciatemi stare, vi dico.

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