La trovatella di Milano di Carolina Invernizio pagina 5

Testo di pubblico dominio

CAPITOLO QUINTO. Tradimento. Adriana si era levata ed avvolta ancora nell'accappatoio da notte, coi capelli disciolti, scarmigliati, passò nel suo spogliatoio e sedette dinanzi all'alto specchio, attendendo la cameriera che venisse a pettinarla. La fanciulla era pallidissima e appena seduta rimase immobile, pensosa, con le candide mani abbandonate sulle ginocchia, come dimentica di quanto la circondava, assorta in un sogno di amore e di tristezza. Due figure si staccavano luminose dal fondo della sua meditazione: quella di Gabriele e quella del padre. Il primo le richiamava sulle labbra un angelico sorriso di speranza; l'altro le empiva gli occhi di lacrime amare. Dall'ultimo colloquio che ella aveva avuto col conte, questi non le aveva più rivolta un'amabile parola, un sorriso affettuoso, una carezza. Si mostrava di una freddezza pungente, di una placidità irritante. L'unica cosa che consolava alquanto la fanciulla, era di non dover più sopportare la presenza del marchese Diego: egli non si faceva più vedere da lei, pareva essersi allontanato dal palazzo. Adriana si trovava già da alcuni minuti assorta nei suoi pensieri, allorchè si alzò pianamente una portiera e comparve il conte. Egli si fermò un istante a contemplare la figlia, il cui languido atteggiamento, mostrava un abbandono, uno sconforto indicibile, poi la chiamò dolcemente a nome. Adriana a quella voce balzò in piedi confusa, arrossita di essere sorpresa in quello smarrimento. Il suo cuore batteva con violenza. —Papà,—mormorò. —Giungo forse male a proposito, mia cara—disse il conte avvicinandosi—ma avevo da parlarti. Sedette al posto lasciato dalla fanciulla, attirò questa sulle sue ginocchia. Adriana era sbalordita: sperava e temeva al tempo stesso: quel cangiamento improvviso del padre la turbava, mentre abbandonavasi dolcemente nelle braccia di lui. —Dammi ascolto, Adriana—disse il conte baciandola—io mi sono mostrato un po' troppo severo con te; ma ciò che tu forse attribuisti a poco affetto, era invece il desiderio di vederti felice. E non lo saresti cara figlia mia, se tu dessi ascolto ai sogni del tuo cervello, perchè l'uomo che la tua fantasia ti dipinge come il più nobile e leale dei cavalieri, ne è invece il più indegno. Adriana alzò con impeto la testa, fissando gli occhi lucenti in quelli del padre. —Parli di Gabriele? —Sì… —Se qualcuno ti ha parlato male di lui, è un infame calunniatore. —Nessuno l'accusa, figlia mia: sono le sue azioni stesse che lo disonorano… Adriana si sentì freddo al cuore. —Che ha dunque fatto? Parla. —Egli tiene una condotta indegna di un giovane onesto, che vuol sposare una fanciulla tua pari. Sebbene riprovassi il tuo amore per lui, feci tacere tutti i miei sogni, le mie speranze e mi diedi ad informarmi minutamente sul suo conto, a spiare tutti i suoi passi. Una voce interna mi diceva che Gabriele t'ingannava. La fanciulla soffocò un grido. —È una menzogna—disse, mentre il cuore le batteva con indicibile violenza. —È la verità—ribattè il conte con voce che parve commossa.—Mentre giurava d'amarti sempre, faceva le stesse promesse ad un'altra povera giovane, che fidente in lui, gli ha tutto sacrificato. —No, no, è impossibile, non lo credo. Ella sentiva il sangue congelarsele nelle vene e chinava il capo per nascondere le lagrime d'ira, di dolore, che le velavano le ciglia. Ma quell'emozione non durò a lungo. Adriana alzò gli occhi divenuti asciutti e con accento freddo, scevro da ogni irritazione. —Padre mio—disse—voglio conoscere quella fanciulla, parlarle; se ella mi conferma i tuoi detti, ti giuro che disprezzerò Gabriele quanto l'ho amato, realizzerò i sogni che facesti per me. Ella non vide il lampo di trionfo, che solcò le pupille del conte. —Il tuo desiderio—rispose—può essere appagato. Quell'infelice vittima di un vile seduttore, è Maria, la bella guantaia di Porta Vittoria, una fanciulla che aveva fama di onestissima. Tu puoi mandarla chiamare colla scusa di fare degli acquisti. Adriana si alzò tremenda per sangue freddo, bella di un livido pallore. —Hai ragione—disse—lo farò tosto. E mentre il conte usciva dalla stanza, suonò con violenza il campanello ed alla cameriera accorsa, dette le istruzioni necessarie, per appagare il desiderio di vedere la sua rivale. Come soffriva, povera Adriana! A momenti sentiva venirle meno il coraggio, mancarle il cuore, gonfiarlese gli occhi di lacrime. Poi pensò che mostrandosi così sconvolta alla guantaia, poteva farle concepire qualche sospetto, onde cercò di frenarsi, si rinfrescò il viso, gli occhi, indossò un abito da casa, color corallo, ricamato in oro, che le stava a meraviglia, avvolse in giri capricciosi attorno al capo la stupenda capigliatura; fermandola con un pettine tempestato di brillanti; poi passò nel suo salottino da lavoro, un gioiello di buon gusto, di eleganza artistica. Vi era appena entrata, che la cameriera comparve annunciando la giovane guantaia. —Avanti,—disse Adriana con voce alta e ferma, sebbene il cuore le battesse da spezzarsi. Maria entrò tenendo fra le mani alcune eleganti scatole. La premura con cui era accorsa all'invito della contessina, le aveva infiammato il viso, dando maggior risalto ai suoi occhi ammirabili, al suo sorriso affascinante. Adriana provò come un capogiro alla vista di quella splendida beltà, ma si rimise subito e disse con dolcezza: —Mi avete portato qualche cosa di nuovo, di bello? —Ho scelto i migliori campioni del negozio—rispose Maria, deponendo le scatole sul tavolino, dove stava appoggiata Adriana ed aprendolo. Ne sprigionò un profumo delicato di violetta ed alla vista apparvero guanti di ogni lunghezza e colore, tenuti insieme da fili invisibili di seta. La contessina parve per un istante tutta assorta nell'esaminarli. —Sì, mi piacciono—mormorava—però mi sembrano un po' grandi per la mia mano. E mostrava la sua manina candida, affusolata, dalle unghie rosee e lucenti. —Ne abbiamo dei più piccoli, della stessa qualità—disse Maria—e se la signorina si compiacesse dirmi il suo numero… —Cinque e mezzo. —Allora ho indovinato senza volerlo; ho scelto appunto tal numero e se volesse provarsene un paio… Adriana acconsentì, e siccome le andavano a pennello, disse che teneva per sè tutte le scatole. —Tanto devono servire per il mio corredo di nozze,—aggiunse sorridendo forzatamente. —Ah! la signorina si fa sposa?—chiese con indifferenza Maria. —Sì, e forse avrete sentito a nominare il mio fidanzato: il marchese
Diego Tiani.
Maria scosse la leggiadra testa: Adriana la fissava intensamente. —Eppure il mio fidanzato è amico intimo di un giovane, che gli ha parlato molto di voi,—aggiunse marcando le parole. Maria trasalì, divenne pallida. —Di me? Forse s'inganna… —Credo di no. Quel giovane si chiama Gabriele Terzi e si dice vostro amante,—esclamò la contessina con accento ironico, mordente, perchè il dolore la rendeva quasi cattiva. Maria alzò con alterezza il capo: il suo sembiante parve irradiato da una sublime fede… —Gabriele non è mio amante, ma il mio sposo—proruppe con una specie d'impeto.—Fra pochi giorni dobbiamo essere uniti ed egli ha rinunziato per me ad una fanciulla ricchissima, che non amava. Adriana dovette fare uno sforzo sopra sè stessa per non mostrare la sua straziante emozione; ma il sorriso che dischiuse le sue labbra, apparve un'orribile smorfia. —Vi disse anche il nome di quella fanciulla?—chiese a denti stretti. —Che m'importava saperlo, dal momento che ero sicura del cuore di
Gabriele?
—Ah! sì tenetevelo caro il suo cuore—replicò la contessina con tale inflessione di voce, che fece trasalire la guantaia—soltanto pregate il vostro sposo di essere più prudente e non parlare con tanta leggerezza di voi cogli amici. Poi, colla massima disinvoltura: —Siamo intese, mia cara, tengo i guanti per me: la mia cameriera passerà a pagarli.

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Argomenti: profumo delicato,    angelico sorriso,    cangiamento improvviso

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