La trovatella di Milano di Carolina Invernizio pagina 15

Testo di pubblico dominio

riprendere la sua narrazione; ma ormai si era così affaticata, che le parole uscivano a stento, mozze dalle sue labbra, e potè appena protestare che Maria era innocente, che se aveva commesso il delitto, la colpa era del marchese Diego, il seduttore, l'infame, che l'aveva disonorata; poi si piegò affranta sulla seggiola, mormorando: —Rendetemela… rendetemela; se Maria viene condannata, che io lo sia con lei: la sua separazione è la mia morte. L'udienza fu per quel giorno terminata. All'indomani, la folla aumentò ancora. Si trattava di sentire la requisitoria del Pubblico Ministero, la difesa ed il verdetto. La sorte fu favorevole all'accusata: il Pubblico Ministero si mostrò assai indulgente, mite per lei; l'avvocato la difese con tanto calore, che persino i giurati avevano le lacrime agli occhi. Onde allorchè ritornati dalla Camera di deliberazione, il Capo di essi, pronunziò con voce vibrata: —No: l'accusata non è colpevole… Si udì nella sala un lungo mormorio di approvazione, che scoppiò in un applauso fragoroso, allorchè riapparve Maria… Questa si sosteneva a stento in piedi: le pareva di soffocare, si sentiva piegare le gambe ed appena il Presidente le ebbe annunciato che era assolta, libera, non potè balbettare una sola parola di ringraziamento, perchè si svenne. CAPITOLO DUODECIMO. Padre e figlia. Albeggiava: nè Annetta la popolana, nè Maria avevano dormito, perchè troppo bisogno provavano di sfogare il loro cuore, dopo tanti mesi di separazione. La guantaia uscita di carcere, trovò la popolana, che l'attendeva in una carrozza per tornarsene alla loro modesta casa, non volendo Annetta più saperne d'ospedale, dopo aver ricuperata la creatura, che era tutta la sua vita, il suo amore. Al primo incontro, trovandosi in presenza d'altri estranei, non potendo ancora la povera donna camminare da sola, entrambe si contentarono di stringersi in un lungo amplesso, di mischiare insieme baci e lacrime. Ma quando si trovarono finalmente sole, riunite nella camera stata testimone di tante gioie e tanta disperazione, le due donne non si contennero più… Si aprirono a vicenda l'anima, si raccontarono tutte le impressioni subite dopo la loro separazione. —Non mi respingi da te sebbene io abbia le mani imbrattate di sangue?—mormorò Maria. —È sangue di traditore e non disonora—rispose la popolana, che riprendeva l'ardire di una volta—io non ti ho mai biasimata, perchè al tuo posto avrei fatto lo stesso. Maria chinava il capo. —Sei forse pentita di averlo ucciso?—chiese Annetta. La giovine si scosse. —No—rispose con voce sorda—perchè ho veduto nel mio delitto la mano del destino. Bussavano alla porta. La popolana ebbe un gesto d'impazienza. —Qualche nuovo importuno—disse—non rispondiamo. Si bussò una seconda volta più forte. —Ebbene… vediamo chi è. Maria andò ad aprire e si trovò dinanzi un signore, avvolto in un lungo soprabito, con una barba foltissima, il cappello calato sugli occhi. Il viso della guantaia rimaneva al buio, onde l'altro non la riconobbe e disse con tronca voce. —È qui che abita Maria Durini, la giovine liberata questa notte? —Sono io, signore: che volete? —Parlarvi un sol momento: mi chiamo il conte Patta. Ella provò un orribile sussulto al cuore, pure seppe mantenersi impassibile. —Entrate signore,—disse ritraendosi alquanto. Lo condusse presso la popolana. Sebbene il conte se l'attendesse, tuttavia non potè dissimulare un fremito nel trovarsi vicino a quella donna, il cui eroismo umiliava il suo orgoglio, lo schiacciava. —Perdonate, se disturbo,—balbettò. —Che cosa volete? —È il conte Patta, mamma—replicò con freddezza Maria—che desidera parlarmi. Gli aveva offerta una sedia ed ella rimaneva dritta, presso la poltrona dove si trovava Annetta. Il conte parve sormontare il suo imbarazzo. —Se mi sono permesso di venir qui, due gravi motivi mi hanno indotto—disse, rivolgendo la parola alla popolana—mi trovavo ieri l'altro all'udienza e mi commossi al pari di tutti, anzi più di tutti, alla storia della vostra figlia adottiva, storia che mi ricordò un fatto, accaduto appunto in una di quelle tremende giornate, che evocaste. Annetta ascoltava con ansietà: era evidente che le parole di quell'uomo la interessavano. Maria invece sentiva crescere la sua avversione per colui, che pur aveva nelle vene lo stesso sangue, era suo padre. Forse se ella l'avesse veduto entrare curvo sotto il peso del dolore, del rimorso, avrebbe perduto il coraggio di accusarlo, il cuore le si sarebbe schiuso alla pietà. Ma dal suo esordio istesso, si capiva che il conte stava architettando una menzogna e Maria s'irrigidiva, si corazzava contro qualsiasi debolezza. Egli continuò: —Un mio amico carissimo, quasi un fratello, aveva smarrita in quelle funeste giornate una fanciullina di due anni o poco più, che portava appunto al collo un gioiello, quale lo descriveste, una testa da morto, appesa ad una catenella d'oro; terreste voi ancora quello ritrovato? La popolana appariva vivamente commossa, mentre la giovane guantaia rimaneva impassibile, come se la cosa non la riguardasse. —Sì… lo tengo sempre—esclamò Annetta—Maria, guarda nel secondo cassetto del canterano, in quella scatola di cartone giallo; lo troverai. La giovine obbedì senza dimostrare molta emozione. Ella non tardò a rinvenire l'oggetto designato e lo porse colle sue mani stesse al conte. Egli non ebbe bisogno di esaminarlo molto per riconoscerlo: allora la maschera d'indifferenza che copriva il suo volto disparve; due grosse lacrime gli scorsero sulle guancie e tendendo le mani a Maria. —Ho mentito, perchè temevo ingannarmi—esclamò—ma ora… non vi ha più dubbio; tu sei mia figlia… Forse si attendeva che la fanciulla gli si gettasse nelle braccia, si aspettava un'esplosione di gioia e di sorpresa. Ma questa non sfuggì che alla popolana. Maria rimase fiera, tranquilla. —Se sono vostra figlia—proruppe con accento amaro—ditemi che avete fatto di mia madre. —È morta—balbettò avvilito il conte, mentre la popolana guardava stupita la giovine, senza comprendere. —Morta? Dove? Quando? Voi non lo sapete eh? Mia sorella ha almeno una tomba su cui pregare, la sua delle madri ha goduto la stima del mondo, la pace della famiglia, è morta benedetta, compianta. Ma la mia? È stata vilipesa, maledetta, errante, esposta a tutti gli insulti, a tutte le umiliazioni, si è trascinata morente per le strade di Milano, chiedendo pietà per sè, per la sua creatura… Chi può dire come è riuscita a salvarmi? Che ne è stato di lei, del suo misero corpo? Voi l'ignorate, è vero? Conte, io non sono più una bambina adesso; so quello che dico e quello che faccio. Mio padre voi? Ditemi che avete fatto per meritare che io vi dia un nome così sacro, un nome che dovrebbe far battere il mio cuore di ebbrezza, di commozione. Quando ero bambina, preferiste salvare la vostra vita piuttosto che la mia; fatta giovane ed onesta con tanti sacrifizii da questa povera donna, che per appianare la strada a me, che pure non ero sua figlia, avrebbe data la vita, mi mandaste dinanzi uno sciagurato perchè mi perdesse, facesse di me una vittima, che dovesse servire al tradimento di un'altra. Il conte che aveva chinato il capo, lo rialzò. —È una menzogna: io nulla sapevo. —Non negate… Diego stesso confessò il mercato infame concluso con voi, il cui prezzo, dovevano essere… le vostre stesse… creature… —Ignoravo la vostra storia,—balbettò il conte colle labbra tremule, convulse. —Credete di scusarvi col dirmi questo?—proruppe con impeto Maria.—Forse perchè figlia del popolo, ero meno degna di pietà, di rispetto, di vostra figlia? Ed avete voi risparmiata Adriana, che pur viveva al vostro fianco, che vi amava? E vi chiamate padre, venite a dirmi: «Tu sei mia figlia!» Ebbene no, io non vi conosco; è già troppo che abbia commesso un delitto per cagion vostra, vi abbia risparmiata

Tag: conte    vostra    figlia    cuore    fatto    giovine    padre    due    forse    

Argomenti: pubblico ministero,    lungo mormorio,    orribile sussulto,    secondo cassetto,    mercato infame

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