La trovatella di Milano di Carolina Invernizio pagina 4

Testo di pubblico dominio

uno sguardo audace e sprezzante—Adriana si ostina a rifiutarmi? Il conte alzò bruscamente il capo. —L'hai sentita? —Sì. —Dunque ho nulla a risponderti. Ed il meglio che tu possa fare, è di cambiare idea. —Niente affatto, perdio! Non cedo con tanta facilità. Tua figlia si rivolta, fa l'orgogliosa, ma basterebbe che io le sussurrassi poche parole all'orecchio, per vederla piegare: ti è noto se, quando voglio, voglio! Il conte aggrottò le ciglia, si morse le labbra. —Che vorresti dirle?—balbettò. —Ciò che siamo io e te, perbacco. Le racconterei per filo e per segno il tuo passato, mostrandole l'epistolario che ebbi da mio padre. E quando ella saprà che l'uomo, il quale adesso si fa chiamare conte Patta, è stato nel quarantotto un infame spia che si vendette successivamente, contemporaneamente a tutti, salvo a tradire a tempo opportuno, chi meno lo pagava, per chi gli offriva di più; allorchè le racconterò la tua fuga da Milano nelle famose cinque giornate, lasciando preda al furore popolare, che voleva far giustizia sommaria della spia, una moglie innocente, una tenera bambina… —Taci, taci…—interruppe balbettando per l'ira il conte, rizzandosi con impeto, per avvicinarsi al giovane. Questi non si mosse, sembrava sfidarlo con gli sguardi arditi. —Non è la verità? —Taci ti dico, ho sopportato tutto da te, parole crudeli ed insultanti, ricatti, angherie, umiliazioni; mi sono piegato a quanto volesti, non risparmiandoti cure, denari, pagando qualsiasi tuo debito. Ma se per rendere Adriana tua schiava, tu adoperassi i mezzi usati con me, se dalle tue labbra uscisse una sola delle rivelazioni che a me ti compiaci ripetere per tormentarmi e minacciarmi, giuro che non uscirai vivo dalle mie mani, mi succeda poi quello che si voglia. Il suo accento, il suo gesto erano tali da spaventare chiunque altro si fosse trovato al posto di Diego. Ma il giovine non dimostrò alcuna emozione. —Via, via, credo che tu scherzi—disse alzando le spalle—come io ho semplicemente voluto avvertirti, che volendo, avrei il mezzo di abbassare l'orgoglio di Adriana e vedermela piangente fra le braccia. Tuttavia credo di aver trovato ancor meglio per farla mia moglie e vendicarmi al tempo stesso del mio rivale. Spiegò il suo progetto che fu approvato dal conte. Erano tornati in apparenza calmi e quando si separarono si strinsero da buoni amici, la mano. Ma il conte rimasto solo, cadde annichilito sul divano e celando il volto in un guanciale di seta, in un parossismo d'ira impotente, pianse come un fanciullo. CAPITOLO QUARTO. Il Genio del male. Per alcuni giorni nessuno si recò al negozio di Maria a riportarle gli abiti ed a riprendere il costume da maschera. La bella guantaia si era fatta triste e pensierosa, tanto che Annetta non potè a meno di accorgersi che qualche cosa di strano avveniva in lei e l'interrogò con somma dolcezza, accarezzandola come quando era bambina. Maria dapprima non rispose; ma ad un tratto due ardenti lacrime le sgorgarono dagli occhi. Annetta ne fu spaventata. —Tu piangi? Ti è accaduto dunque qualche cosa ben di grave?—domandò ansiosa. —No, no, rassicurati, mamma,—rispose Maria, mentre un sospiro sfuggiva dal suo petto oppresso. E con tronchi accenti, raccontò quanto le era successo l'ultima notte di carnevale. Annetta aggrottava le ciglia. —Perchè non mi svegliasti? —Non volevo disturbarti. —Ed intanto ti sei messa nel rischio di vederti usare qualche violenza. Quel giovinotto poteva essere un birbante inseguito dalle guardie. —Oh! mamma, se tu avessi veduto che fisonomia gentile… —L'apparenza spesse volte inganna: intanto, lo vedi, non ha rimandati i tuoi abiti. —I suoi valgono molto più. Li svolse per mostrarglieli e nel far ciò un oggetto cadde con lieve rumore in terra. Annetta si affrettò a raccoglierlo. Era un portasigari di velluto, con sopravi ricamate in oro le iniziali D. e T. Mentre stavano ammirandolo, entrò in negozio una specie di facchino, portando un grosso involto. —Sta qui la signorina Maria?—chiese. Annetta si avanzò. —È mia figlia, che volete da lei? —Consegnarle questa roba. —So cos'è, posatela sul banco ed aspettate ho da rendervene dell'altra. —Non ho avuto ordini in proposito—disse il facchino volgendole le spalle—a rivederci. Annetta lo richiamò, ma invano. Allora si rivolse alla figlia, che rimaneva confusa, turbata. —Guarda se sono i tuoi abiti. Maria svolse il fagotto e gettò un lieve grido di sorpresa. In mezzo agli abiti, eravi un cofanetto tutto a dorature, che conteneva un magnifico finimento in perle ed un biglietto così concepito. «Signorina—Non ricambierò mai abbastanza il servigio che mi rendeste; tuttavia serbate per mio ricordo il piccolo dono che vi mando e rivolgete qualche volta il pensiero a Gabriele Terzi, la maschera misteriosa, alla quale deste rifugio l'ultima notte di carnevale.» —Gabriele Terzi—ripetè Annetta—allora quel portasigari non è suo, perchè non corrispondono le iniziali: basta, non mi soddisfa affatto il regalo dei gioielli, che intendi farne? —Ciò che vorrai, mamma. —Ebbene, siccome qualche cosa mi dice che quel signor Gabriele lo vedremo ancora, così ci penserò io a restituirglieli: deve essere un furbo colui, ma troverà pane per i suoi denti. Maria non replicò: le faceva male udire sua madre parlare così. Non divideva quelle idee, perchè sentiva di amare il giovane di profonda ed irresistibile passione. E soffriva per timore di non rivederlo più e si faceva ogni giorno più pallida, destando nel cuore di Annetta un acuto dolore. La popolana malediva fra sè il giovane venuto a turbare la pace della sua casa; ma trascorso quasi un mese e colui non essendo ricomparso, Annetta tornò affatto tranquilla, tanto più perchè Maria aveva ripresi i suoi bei colori, l'allegria di prima. Povera donna! Se ella avesse seguiti i passi della fanciulla, ogni qualvolta questa usciva alla mattina per alcune compere o per delle commissioni di clienti, l'avrebbe spesso veduta entrare furtiva in una modesta casa presso il Mercato delle erbe, salire all'ultimo piano dove il marchese Diego Tiani, sotto il nome del suo rivale Gabriele Terzi, stava ad attenderla. La prima volta che Maria l'aveva incontrato, uscendo sola, credette venir meno dalla gioia; tuttavia quando egli le si accostò, apparve fredda, quasi indifferente. Ma presto il ghiaccio si ruppe: il giovane le aveva parlato dapprima timido, commosso, poi si abbandonò al linguaggio artificioso, fiorito, seducente di tutti i libertini che hanno designata una vittima, affascinando Maria, facendole battere il cuore a colpi precipitosi. Coi più vivi colori, Diego le dipinse l'amore che l'aveva infiammato per lei, la gioia che avrebbe provato sentendosi corrisposto, l'avvenire pieno d'inebrianti speranze, di continua felicità che li attendeva. E l'incauta cadde nel laccio. Ella si recò agli appuntamenti nella casa designatele, in un quartierino ammobigliato, che Diego aveva preso in affitto per lei, dicendole essere costretto ad agire così, fino a quando avrebbe ottenuto da suo padre il consenso al suo matrimonio. Maria non aveva alcun sospetto dell'inganno di cui stava per essere vittima. Credeva realmente che quel bellissimo giovane, il quale le giurava con tanto calore di farla sua moglie, si chiamasse Gabriele Terzi. Non prendeva informazioni: le sarebbe sembrato offenderlo: fidava in lui come in Dio: gli aveva offerta, donata la sua intera esistenza. Eppure Maria non era in fondo così lieta come per il passato: se provava delle gioie vivissime, inebrianti, aveva altresì dei momenti di disperato rimorso. Ed era quando sua madre la stringeva al seno, la baciava, fissandola negli occhi, chiamandola la sua dolce, la sua pura creatura. Sorrideva la misera fanciulla e per celare le sue angoscie, aveva impeti di allegrezza folle, che Annetta non comprendeva. Intanto Diego, il Genio del male, andava diritto al suo infame scopo.

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Argomenti: sei messa,    lieve rumore,    tanto calore,    sguardo audace,    infame spia

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