I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi pagina 9

Testo di pubblico dominio

ami i giovani.—Fu baleno d'inferno, e Mammone penetrò nelle vene del giovane con tutti i suoi veleni. Da quella sera in poi sedè continuo intorno al tappeto verde… Se della probità del banchiere egli dovesse o potesse dubitare non sapeva; certo però che a fraudare sembrava gli fosse chiusa ogni via. E poi il banchiere ispirava proprio fiducia: bello di faccia, con capelli copiosi e biondi egregiamente acconciati sopra la testa, onesti i modi, lo sguardo benigno, il sorriso innocente; e quando ripeteva la parola:—"Vado,"—per avvertire che estraeva la carta, sembrava Gabriel che dicesse:—"Ave!"—Però il giovane, allorchè si pose a sedere, fisse i suoi occhi dentro gli occhi del banchiere provocanti, e simili a quelli del duellatore contro al nemico che si apparecchiano a uccidere; ma il banchiere gli corrispose senza punta ira, anzi con pietà, come volesse dissuaderlo da porsi all'avventura. Durante parecchie sere le vicende del giuoco si alternarono ora triste ora liete: e fu il tormento di Sisifo; dopo avere sospinto il masso fino al sommo della montagna, tornava a rotolare giù fino alle falde, ma non tanto avverse da disperarlo, nè tanto felici da renderlo pago: parve cosa calcolata con sommo accorgimento per accendere con fiamme inestinguibili cotesta natura piuttosto temperata. Alla fine la fortuna prese a scoprirglisi a viso aperto contraria: rimesse il guadagnato, sparvero di un tratto i risparmi raccolti a stento nella voragine immane, e presto giunse al Rubicone dei cassieri,—alla cassa del padrone. Bisogna confessarlo, la sua immaginazione non evocò fantasma a spaventarlo, lui non turbarono le ambagi di Cesare: tanta cecità lo aveva sorpreso, che si rinvenne mille miglia lontano dalla riva prima di accorgersi che aveva passato il fiume. Quando se ne accorse, non era più tempo per tornare indietro; l'amore, la vergogna e il delitto, come le cagne studiose e conte dell'Ugolino, gli stavano al fianco incalzandolo al precipizio. Di tratto in tratto sopra l'onda burrascosa della sua anima le apparve una sembianza atteggiata a mesto rimprovero,—la sembianza della madre vedova e lontana; ma egli si affaticò ad annegarla, e l'annegò sotto sconce libazioni di acqua vite. Quando il giovane, dopo lunga meditazione, deliberò ingoiare un bicchiere dello infame liquore a questo scopo,—allo scopo, dico, di cancellarsi dal cuore la cara e buona immagine materna,—n'ebbe orrore, e pensò avere commesso un parricidio. Adesso lo sciagurato non conta più i danari: a piene mani tuffa nella cassa altrui, a piene mani dà la pecunia sottratta in balía della fortuna, che se la porta come l'uragano delle Alpi la neve minuta. Certa notte, dopo una perdita tale che agli stessi giuocatori colà convenuti pose spavento, sicchè gli avevano fatto cerchio all'intorno lasciandolo solo, quasi soldato invaso dal furore della morte sopra la breccia,—la voce del servo che disse: "Signori, il giuoco è terminato!" gli traforò le orecchie crudele come la operazione del trapano; traballò a modo di epilettico, e comprimendo un singulto nervoso ch'ebbe a rompergli la gola, uscì dalla stanza, e si strascinò verso le scale. Prima di scendere appose la fronte bollente allo stipite di marmo per ricavarne un po' di refrigerio. Mentre stando così appoggiato lo assalivano le amarezze della morte, una mano gli batte lieve lieve sopra le spalle. Il sangue a guisa di lavacro di piombo fuso lo percorse intero dal capo alle piante ricercandogli ogni vena più minuta, ogni più sottile vaso linfatico; non ardisce muoversi nè aprire gli occhi; quando una voce di compassione gli susurra dimessa: "Ahi! tristo voi, come siete tradito!" "Tradito io? E da chi? E come?" "Se io vi sapessi meno forte, mi parrebbe quasi carità tacere;—ma voi altri siete spiriti gagliardi, e stasera n'ebbi prova al giuoco, sicchè non dubito porgervi la medicina: a tutt'altro riuscirebbe troppo violenta,—ma voi guarirà…" "Infine parlate." "Voi amate…?" "Chi ve lo ha detto?" "Lo so…" "Dunque perchè me lo domandate?" "Avete ragione. Ora dunque sappiate che la fanciulla che voi amate v'inganna e vi deride;… perchè…" "Perchè?" "È pubblica meretrice…" "Tu menti… O provalo o ti strangolo…" "Io non mentisco: egli è per bene vostro che mi sono persuaso a palesarvelo; e in quanto alla prova, animo, mio caro giovane! e venite." Questo uomo era nè più nè meno il Presidente.—Non gli fu difficile condurre seco il giovane prostrato di forza fisica e di volontà, e mentre lento saliva le scale porgendogli braccio, gli mormorava dentro le orecchie: "Qui al secondo piano abitano meretrici: la mala femmina mena vita fra queste; finse povertà e albergo nelle soffitte, ma ella è delle più famose del secondo piano, e tiene il luogo accreditato perchè piacevolona, vaga di burle, e oltre modo disposta a sostenere una parte in commedia: se capitava in buone mani sarebbe riuscita attrice unica. La finta madre che le serve da mezzana non vale punto meno di lei. Io so tutte queste cose per filo e per segno, perchè—figuratevi—sono il padrone del palazzo." Giunsero al terzo piano. Il Presidente aperse adagio l'uscio di casa sua, ed invitò il giovane a entrare. Entravano e si trovavano al buio. "Voi avete promesso farmi vedere… e qui siamo al buio."—Queste parole suonavano come se fossero stritolate fra i denti del giovane. "Silenzio: quello che ho promesso mantengo.—Porgetemi la mano." Quegli gliela porse. Il Presidente lo condusse in altra stanza; colà giunto si china verso il pavimento, e cava fuori cautamente un mattone. Dall'apertura proruppe una luce vivissima… Sorse in piedi, si accostò al giovane, e gli disse a voce bassa: "Se vi aggrada… guardate…" E il giovano guardò, e vide… Un urlo disperato come di uomo ferito in mezzo al cuore riempie la stanza. Dopo lunga ora il giovane risensato da grave svenimento si trova giacente in letto, e vede il Presidente con amorevole sollecitudine porgergli aiuto. Questi lo vide appena con gli occhi aperti, Che levate al cielo le mani giunte esclamava: "Lodato Dio! vi reputava più forte: invece di fare bene, temo avere commesso troppo gran male, e ne ho rimorso. Figliuolo mio, perdonatemi per carità… Conosco la esperienza essere stata acerba… capisco che a queste prove cuore di uomo non regge… ma non vi lasciate vincere dall'angoscia… coraggio… su via! Verrò a visitarvi… come posso a consolarvi… perchè sento per voi viscere di padre." E qui le parole amorevoli unite alle cure benevole furono infinite: singulti non mancarono nè lacrime, e profferte di accompagnarlo a casa. Il giovane allo improvviso balzò energicamente da letto; scosse la testa, e levati gli occhi al cielo esclamò: "Il Signore mi aiuterà: sento avere dato dentro a inique trame. Ho traviato molto,—forse troppo; ma non v'ha errore che non possa ripararsi con la fede in Dio, e col fermo proponimento.—Addio. Voi mi avete guarito… io vi ringrazio." E sì dicendo partiva. Il Presidente restava come trasognato, guardando torvo e a traverso il pavimento; alfine esclamò: "Cane d'Inglese…—Credevo che per lo meno si fosse gittato dalla finestra, e invece vi si accomoda dentro come in un letto di rose. Alla riscossa!" La meretrice con larga promessa di premio persuasa a tradirlo, comecchè nella laida sua condizione rimanesse, pure di cotesto forte amore compiacendosi se ne sentiva lusingata, e fingendo affetto incominciava ad appassionarsi davvero.—Così la farfalla volando intorno alla fiamma abbrucia l'ale.—La misericordia non isdegna raccogliere queste creature purificate,—a patto però che la passione le purifichi come il fuoco, riducendole in cenere… Il Presidente aveva pensato alla riscossa; e avviluppatosi dentro un ampio mantello, col feltro sopra le ciglia, studiando il passo, con moti obliqui, nel punto stesso in cui l'orologio della cattedrale suonava un'ora batteva un picchio alla casa del signor

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Argomenti: sommo accorgimento,    madre vedova,    infame liquore,    singulto nervoso,    sottile vaso

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