Giambi ed Epodi di Giosuè Carducci pagina 6

Testo di pubblico dominio

Ricordi tu le vedove piagge del mar toscano, Ove china su 'l nubilo inseminato piano La torre feudal Con lunga ombra di tedio da i colli arsicci e foschi Veglia de le rasenie cittadi in mezzo a' boschi Il sonno sepolcral. Mentre tormenta languido sirocco gli assetati Caprifichi che ondeggiano su i gran massi quadrati Verdi tra il cielo e il mar, Su i gran massi cui vigile il mercator tirreno Saliva, le fenicie rosse vele nel seno Azzurro ad aspettar? Ricordi Populonia, e Roselle, e la fiera Torre di Donoratico a la cui porta nera Conte Ugolin bussò Con lo scudo e con l'aquile a la Meloria infrante, Il grand'elmo togliendosi da la fronte che Dante Ne l'inferno ammirò? Or (dolce a la memoria) una quercia su 'l ponte Levatoio verdeggia e bisbiglia, e del conte Novella il cacciator Quando al purpureo vespero su la bertesca infida I falchetti famelici empiono il ciel di strida E il can guarda al clamor. Là tu crescesti, o sauro destrier de gl'inni, meco; E la pietra pelasgica ed il tirreno speco Fûro il mio solo altar; E con me nel silenzio meridian fulgente I lucumoni e gli àuguri de la mia prima gente Veniano a conversar. E tu pascevi, o alivolo corridore, la biada Che ne' solchi de i secoli aperti con la spada Dal console roman Dante, etrusco pontefice redivivo, gettava; Onde al cielo il tuo florido terzo maggio esultava, Comune italian, Tra le germane faide e i salmi nazareni Esultava nel libero lavoro e ne i sereni Canti de' mietitor. Chi di quell'orzo pascesi, o nobile corsiero, Ha forti nervi e muscoli, ha gentile ed intero Nel sano petto il cor. Dammi or dunque, apollinea fiera, l'alato dorso: Ecco tutte le redini io ti libero al corso: Corriam, fiera gentil. Corriam de gli avversarii sovra le teste e i petti, De' mostri il sangue imporpori i tuoi ferrei garetti; E a noi rida l'april, L'april de' colli italici vaghi di mèssi e fiori, L'april santo de l'anima piena di nuovi amori, L'aprile del pensier. Voliam sin che la folgore di Giove tra la rotta Nube ci arda e purifichi, o che il torrente inghiotta Cavallo e cavalier, O ch'io discenda placido dal tuo stellante arcione, Con l'occhio ancora gravido di luce e visione, Su 'l toscano mio suol, Ed al fraterno tumolo posi da la fatica, Gustando tu il trifoglio da una bell'urna antica Verso il morente sol. LIBRO II XVI
A CERTI CENSORI No, le luci non ha di Maddalena Molli e del pianger vaghe; No, balsami non ha la mia Camena Per le fetenti piaghe. Né Cristi siete voi: per ogni fòro L'anima vostra impura Fornicò; se v'ha conci il reo lavoro, Ci pensi la questura. Ma Fulvia, in quel che la persona bella Rileva su 'l divano Ravviando al crin fulgido le anella Con la tremante mano E le pieghe a la vesta, tutta in viso Vermiglia e di piacere Spumante, con un guardo e con un riso Ove tutta Citere Lampeggia e a cui Laide erudita avria Aggiudicato il mirto, – Odio – dice – la triste poesia Che rinnega lo spirto. – E il buffon Mena, ch'empie d'inodora Corruzion la pancia E via co 'l guanto profumato sfiora Gli schiaffi de la guancia, Dice – A me giova tra un bicchier di Broglio E l'altro metter l'ale. Io mi sento meschino, e a cena voglio Del soprannaturale E de i tartufi... Via, dopo l'arrosto Fa bene un po' d'azzurro: Apri, poeta: il cielo, il cielo, a costo Di pigliare un cimurro! Nel cospetto del ciel l'ebrezza casca Del senso riscaldato. Il canto è fede. – E s'accarezza in tasca Il soldo ruffianato. Ecco Pomponio, a le cui false chiome E al giallo adipe arguto, Dolce Pimplea, tu splendi in vista come Un grosso angel paffuto Che ne le chiese del Gesù stuccate Su le nubi s'adagia, Su le nubi dorate e inargentate Che paion di bambagia. – Amore, amore! – ei sbuffa – il mondo nuota Tutto nel latt'e miele: Le rane come me lasciar la mota E le vipere il fiele. Vero; un asino crepa a quando a quando Di martirio o di fame: Ma il listino a la borsa va montando E a Pegaso lo strame. Ho de' valori pubblici, un'amante Paolotta e un giornale Del centro che mi paragona a Dante: Io canto l'ideale. Seguo l'arte che l'ali erge e dilata A più sublimi sfere: Lungi le Muse de la barricata, Le Grazie petroliere! – Così le belle e i vati e i savi in coro Mi vietano con gesto Di drammatico orrore il sacro alloro... Deh via, chi ve l'ha chiesto? Quand'io salgo de' secoli su 'l monte Triste in sembianti e solo, Levan le strofe intorno a la mia fronte, Siccome falchi, il volo. Ed ogni strofe ha un'anima; ed a valle Precipita e rimbomba, Come fuga d'indomite cavalle, Con la spada e la tromba; E con la spada alto volando prostra I mostri ed i giganti, E con la tromba a la suprema giostra Chiama i guerrier festanti. Al passar de le aeree fanciulle Fremon per tutti i campi L'ossa de' morti, e i tumoli a le culle Mandan saluti e lampi. E il giovinetto pallido, a cui cade Su gli occhi umido un velo, Sogna la morte per la libertade In faccia al patrio cielo. Avanti, avanti, o messaggere armate Di fede e di valore! Su l'ali vostre a più felice etate Lancio il mio vivo cuore. A voi la vita mia: me ignota fossa Accolga innanzi gli anni: Pugnate voi contro ogni iniqua possa, Contro tutti i tiranni! XVII
PER IL LXXVIII ANNIVERSARIO
DALLA PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA FRANCESE Sol di settembre, tu nel cielo stai Come l'uom che i migliori anni finì E guarda triste innanzi: i dolci rai Tu stendi verso i nubilosi dì. Mesto è sereno, limpido e profondo, Per l'ampia terra il tuo sorriso va: Tu maturi su i colli il vino, e al mondo Riporti i fasti de la libertà. Mescete, o amici, il vino. Il vin fremente Scuota da i molli nervi ogni torpor, Purghi le nubi de l'afflitta mente, Affoghi il tedio accidioso in cor. Vino e ferro vogl'io come a' begli anni Alceo chiedea nel cantico immortal: Il ferro per uccidere i tiranni, Il vin per festeggiarne il funeral. Ma il ferro e il bronzo è de' tiranni in mano; E Kant aguzza con la sua Ragion Pura il fredd'ago del fucil prussiano, Korner strascica il bavaro cannon. Cavalca intorno a l'avel tuo, Voltèro, Il diletto di Dio Guglielmo re, Che porta sopra l'elmo il sacro impero, Sotto l'usbergo la crociata fé, E ne la man che in pace tra il sacrato Calice ed il boccal pia tentennò Porta l'acciar che feudal soldato Ne le stragi badesi addottrinò, E crolla eretta al ciel la bianca testa... O repubblica antica, ov'è il tuo tuon? Il cavallo del re, senti, ti pesta, E dormi ne la tua polve, o Danton? Mescete vino e oblio. La morta gente, O epigoni, fra noi non torna più! Il turbin ne la voce e nel possente Braccio egli avea la muscolar virtù Del popol tutto. Oh, il dì più non ritorna Ch'ei tauro immane le strambe spezzò, E mugghiò ne l'arena, e su le corna I regi i preti e gli stranier portò! Mescete vino, amici. E sprizzò allora Da i cavi di Marat occhi un balen Di riso: ei sollevò da l'antro fuora La terribile fronte al dì seren. Matura ei custodìa nel sen profondo L'onta di venti secoli e il terror: Quanto di più feroce e di più immondo Patîr le plebi a lui stagnava in cor. Le stragi sotto il sol disseminate, I martìr d'ogni sesso e d'ogni età, I corpi infranti e l'alme violate E le stalle del conte d'Artoà, Tutto ei sentia presente: il sanguinoso Occhio rotava in quel vivente orror, E chiedea con funèbre urlo angoscioso Mille vendette ed un vendicator. De l'odio e del dolor l'esperimento Il cor gli ottuse e il senso gli acuì: Ei fiutò come un cane il tradimento, E come tigre ferita ruggì. Ma quel che su da l'avvenir salia D'orror fremito udì Massimilian, E come falciator per la sua via, L'occhio ebbe al cielo ed al lavor la man. De' solchi pareggiati in su 'l confino Il turbine vi attende, o mietitor: O mietitori foschi del destino, Non fornirete voi l'atro lavor. Maledetto sia tu per ogni etade, O del reo termidor decimo sol! Tu

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Argomenti: repubblica francese,    tormenta languido,    spada alto,    urlo angoscioso,    terribile fronte

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