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Giambi ed Epodi di Giosuè Carducci pagina 5grembo fecondo Cinque valenti uscieno: ecco, t'avanza Oggi quest'uno al mondo. L'alma benigna nel sereno viso Splendea di que' gagliardi, Come del sol di giugno il vasto riso Sovra i laghi lombardi. Ahi, ahi! de gli stranier tutte le spade La carne tua gustaro! Ahi, ahi! d'Italia tutte le contrade Del cor tuo sanguinaro! Qual cor fu il tuo, quando l'estremo spiro. O madre de gli eroi, Di lui ti rinnovò tutto il martiro Di tutti i figli tuoi! Or su le tombe taciturne siedi, O donna de i dolori, E i dì estremi volar sopra ti vedi Come liberatori. Qui cinque addur nuore dovevi a' nati, Madre gentile e altera; Cara speme di prole a' tuoi penati Ed a la patria: e nera Suoi segni stende per le avite stanze La morte. Ma d'augùri Rifulgon liete e suonano di danze Le case de' Bonturi. Corre ivi a fiotti il vino, e sangue sembra; L'orgia a le fami insulta; De le adultere ignude in su le membra La libidine esulta. I barcollanti amori, in mal feconde Scosse, d'obliqua prole Seminan tutte queste serve sponde, Ed oltraggiano il sole. E il tradimento e la vigliaccheria, Sì come cani in piazza, Ivi s'accoppian anche: ebra la ria Ciurma intorno gavazza, E i viva urla a l'Italia. Maledetta Sii tu, mia patria antica, Su cui l'onta de l'oggi e la vendetta De i secoli s'abbica! La pianta di virtù qui cresce ancora, Ma per farsene strame I muli tuoi: qui la viola odora Per divenir letame. Oh, risvegliar che val l'ira de i forti, Di Dante padre l'ira? Solingo vate, in su l'urne de' morti Io vo' spezzar la lira. Accoglietemi, udite, o de gli eroi Esercito gentile: Triste novella io recherò fra voi: La nostra patria è vile. XIV PER LE NOZZE DI CESARE PARENZO – Superbo! e lui non tocca Gentil senso d'amore: Motto di rosea bocca A lui non scende in core. Ei per la via de gli anni Tutt'i soavi inganni Gittò, gittò la soma De le memorie pie; E con la mente doma Da torve fantasie, Solitario, aggrondato, Va pe 'l divin creato. Amor covava in petto Al buon veglio di Teo: In lui l'ira e 'l dispetto Albergo e nido feo, E la Furia pon l'ova, E la Musa le cova; E guizzan viperette Da i sanguinosi vani, E fischian su le vette De' versi orridi e strani, E lingueggiano al sole Tra rovi di parole. – E pur (m'udite, o voi Che un dì mi amaste) ancora Dischiude i color suoi E in mezzo al cor m'odora Più soave che pria Il fior di poesia. E ne vo' far ghirlande Per le fronti severe Ove suoi raggi spande L'onor et il dovere, E per le fronti belle Di pudiche donzelle. O monti, o fiumi, o prati: O amori integri e sani; O affetti esercitati Fra una schiatta d'umani Alta gentile e pura; O natura, o natura; Da questo reo mercato Di falsitadi, anelo A voi, come piagato Augello al proprio cielo Dal fango ond'è implicata L'ala al sereno usata. Dolci sonate e molli Aleggiate, o miei versi, Qual d'Imetto da i colli Di roseo lume aspersi Mormoravan giulivi Del bel Cefiso a i rivi Gli sciami de le attee Api, ed allora inchino Libava a le tre dee Il tragico divino Meditando i secreti Di Colono oliveti. Dolci sonate e puri De la candida festa Fra i domestici augùri: Parenzo oggi a la onesta Tua legge affida, o amore, Il prode ingegno e il core. E ride la donzella A l'amator marito, Lei che tacita e bella L'attese, ed a l'ardito Guerrier di nostra fede Serbò questa mercede. Oh dolce oblio profondo De le lotte anelanti! Oh divisi dal mondo Susurri de gli amanti, Che l'aura pia diffonde Tra l'ombre e tra le fronde, Ma in ciel par che gl'intenda Espero amico lume E soave risplenda Con fraterno costume A la fronte levata De la fanciulla amata! Se non che dietro rugge La marea de la vita, E l'anima che fugge Chiama a la via smarrita: In su l'aspro sentiero Tornate, o sposi, e al vero. Da i vostri amori, o prode Gioventù di mia terra, A la forza e a la frode Esca perenne guerra, Esca a l'italo sole Una robusta prole; E il sano occhio nel giorno Del ver fisi giocondo, E tutto a lei d'intorno Rida libero il mondo. Non è divino fato Il dolore e il peccato. A l'armi, a l'armi, o amore! Tu puoi, tu sol, cotanto! Se questa speme in core Io porti, ancora il canto Da l'anima ferita Gitterò ne la vita; E su 'l ginocchio, come Il gladiator tirreno, Poggiato, io, fra le chiome E nel riarso seno La fresc'aura sentendo, Morirò combattendo. RIPRESA XV AVANTI! AVANTI! I Avanti avanti, o sauro destrier de la canzone! L'aspra tua chioma porgimi, ch'io salti anche in arcione, Indomito destrier. A noi la polve a l'ansia del corso, e i rotti vènti, E il lampo de le selici percosse, e de i torrenti L'urlo solingo e tier. I bei ginnetti italici han pettinati crini, Le constellate e morbide aiuole de' giardini Sono il lor dolce agon: Ivi essi caracollano in faccia a i loro amori, La giuba a tempo fluttua vaga tra i nastri e i fiori De le fanfare al suon; E, se lungi la polvere scorgon del nostro corso, Il picciol collo inarcano e masticando il morso Par che rignino – Ohibò! – Ma l'alfana che strascica su l'orlo de la via Sotto gualdrappe e cingoli la lunga anatomia D'un corpo che invecchiò, Ripensando gli scalpiti de' corteggi e le stalle De' tepid'ozi e l'adipe de la pasciuta valle, Guarda con muto orror. E noi corriamo a' torridi soli, a' cieli stellati, Per note plaghe e incognite, quai cavalier fatati, Dietro un velato amor. Avanti, avanti, o sauro destrier, mio forte amico! Non vedi tu le parie forme del tempo antico Accennarne colà? Non vedi tu d'Angelica ridente, o amico, il velo Solcar come una candida nube l'estremo cielo? Oh gloria, oh libertà! II Ahi, da' prim'anni, o gloria, nascosi del mio cuore Ne' superbi silenzii il tuo superbo amore. Le fronti alte del lauro nel pensoso splendor Mi sfolgorâr da' gelidi marmi nel petto un raggio, Ed obliai le vergini danzanti al sol di maggio E i lampi de' bianchi omeri sotto le chiome d'òr. E tutto ciò che facile allor prometton gli anni Io 'l diedi per un impeto lacrimoso d'affanni, Per un amplesso aereo in faccia a l'avvenir. O immane statua bronzea su dirupato monte, Solo i grandi t'aggiungono, per declinar la fronte Fredda su 'l tuo fredd'omero e lassi ivi morir. A più frequente palpito di umani odii e d'amori Meglio il petto m'accesero ne' lor severi ardori Ultime dee superstiti giustizia e libertà; E uscir credeami italico vate a la nuova etade, Le cui strofe al ciel vibrano come rugghianti spade, E il canto, ala d'incendio, divora i boschi e va. Ahi, lieve i duri muscoli sfiora la rima alata! Co 'l tuon de l'arma ferrea nel destro pugno arcata, Gentil leopardo, lanciasi Camillo Demulèn, E cade la Bastiglia. Solo Danton dislaccia, Per rivelarti a' popoli, con le taurine braccia, O repubblica vergine, l'amazonio tuo sen. A noi le pugne inutili. Tu cadevi, o Mameli, Con la pupilla cerula fisa e gli aperti cieli, Tra un inno e una battaglia cadevi; e come un fior Ti rideva da l'anima la fede, allor che il bello E biondo capo languido chinavi, e te, fratello Copria l'ombra siderea di Roma e i tre color; Ed al fuggir de l'anima su la pallida faccia Protendea la repubblica santa le aperte braccia Diritta in fra i romulei colli e l'occiduo sol. Ma io d'intorno premere veggo schiavi e tiranni, Ma io su 'l capo stridere m'odo fuggenti gli anni: – Che mai canta, susurrano, costui torbido e sol? Ei canta e culla i queruli mostri de la sua mente, E quel che vive e s'agita nel mondo egli non sente. – O popolo d'Italia, vita del mio pensier, O popolo d'Italia, vecchio titano ignavo, Vile io ti dissi in faccia, tu mi gridasti: Bravo; E de' miei versi funebri t'incoroni il bicchier. III Avanti, avanti, o indomito destrier de gl'inni alato! Obliar vo' nel rapido corso l'inerte fato, I gravi e oscuri dì. Ricordi tu, bel sauro, quando al tuo primo salto I falchi salutarono augurando ne l'alto E il bufolo muggì? 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