Giambi ed Epodi di Giosuè Carducci pagina 2

Testo di pubblico dominio

servendo che mentisce Iddio, Francia, a le madri annose Tu spegnessi i figliuoli et il desio Di lor vita a le spose, E noi per te di pianto e di rossore Macchiassimo la guancia, Noi cresciuti al tuo libero splendore, Noi che t'amammo, o Francia? Ahi lasso! ma de' tuoi monti a l'aprico Aer e nel chiostro ameno Più non ti rivedrò, mio dolce amico, Come al tempo sereno. Per l'alpestre cammino io ti seguia; E 'l tuo fucil di certi Colpi il silenzio ad or ad or ferìa De' valloni deserti. L'alta Roma io cantava in riva al fiume Famoso a l'universo: E il can latrando a le cadenti piume Rompeva a mezzo il verso, O a te accennando usciva impaziente Fuor de la macchia bruna; Or raspa su la tua fossa recente, E piagnesi a la luna. Squallidi or sono i monti: ma l'aprile Roseo nel ciel natio Tornerà, che doveva una gentile Ghirlanda al tuo desio: E in vece condurrà l'allegra schiera De gli augelli in amore Su l'erba ch'alta andrà crescendo e nera Dal tuo giovenil core. Perché i bei colli di vendemmia lieti, Perché lasciasti, amico, Sfuggendo a' pianti de l'amor segreti Sur un volto pudico? Perché la madre tua lasciasti? Oh, quando A mensa ella sedea, Il tuo loco guardava, e lacrimando Il viso rivolgea. Madre, perdona. A un cenno tuo la testa, La balda testa ei piega; Ma il suo duce prigion bandì la gesta, E la gran Roma prega. Egli su' trionfali archi diritta Vide, nel ciel del Lazio, Di Roma vide l'alta imago, afflitta D'inverecondo strazio. Ella che tien del nostro patto l'arca, L'ara del nostro dritto; Per cui Dante gemé, fremé il Petrarca, E 'l Machiavelli ha scritto; Austera e pia ne la materna faccia Con lagrimoso ciglio Lo riguardava, e gli tendea le braccia, E gli diceva: O figlio. Ed ei, questo predone (ascolta, o greggia Turpe di schiavi, ascolta), Questo predon cui l'Apennin verdeggia Di lieti paschi e folta Mèsse, questo feroce a cui nel core Ridea queto un desire, Per lei lasciava il suo solingo amore, Per lei corse a morire. Ed or ne' luoghi, ove fra sé ristretta È la gente de i morti Per forza, e chiama a Dio la gran vendetta Che il mondo riconforti, Or co' i caduti là nel giugno ardente De l'alta Roma a fronte E co' i caduti nel decembre algente De' martiri su 'l monte Parla, e Nemesi al suo ferreo registro Guarda con muto orrore, Parla di lui, del Cesare sinistro, Del bieco imperatore. Le madri intanto accusano ne' pianti Del viver tardo i fati E con le man che gli addormian lattanti Compongono gli occhi a' nati, In vece di ghirlande le fanciulle Vestonsi i neri panni, Mancan le vite a le aspettanti culle... Maledetti i tiranni! Ma io per man torrommi questa madre Vedova, questa sposa Vedova; e, dove fra sue turbe ladre Quel prete empio riposa, E sogna d'armi e ad un selvaggio agguato Pare che frema e rugga, E su 'l capo gli penzola inchiodato Gesù perché non fugga, Là me n'andrò, là sorgerò, per vie A tutt'altri secrete, Come una larva del supremo die Lento, e dirògli – O prete, Godi. Di larga strage il breve impero Empisti e le tue brame. Trionfa nel tuo splendido San Piero, O vecchio prete infame. Con le tremule palme al ciel levate Canta – Osanna, Dio forte –: L'organo manda per le volte aurate Un rantolo di morte. Quando al popol ti volgi, ed – il Signore, Mormori, sia con voi, – Come adultera donna a l'amatore, Guardi a gli sgherri tuoi. Su le canne d'acciaio in mezzo a' ceri L'omicidio scintilla: Tu 'l vedi, e 'l gaudio vela di sinceri Pianti la tua pupilla. China su 'l pio mister che si consuma, China il tuo viso tristo: Di sangue, mira, il tuo calice fuma; E non è quel di Cristo. Ahi, d'italiche vene è sangue schietto, Nobile sangue e caro! E una stilla ve n'ha pur di quel petto Che queste donne amâro; Queste donne che dièro a' tuoi decreti Umile il cuor, l'orecchio Prono; e pregaron anche in lor secreti Per te, feroce vecchio! Io, per le grige chiome de la madre E per le chiome bionde De la sposa che sciolte or sotto l'adre Pieghe un sol vel confonde; Io, per Gesù che a gli uccisor compianse; Io, per le donne sante, Maddalena che amò, Maria che pianse, O vecchio sanguinante; Te ch'oro e ferro e bronzo mendicando Te ne vai per la terra, Che gridi contro a la tua patria il bando De l'universa guerra; Te che il lor sangue chiedi con parole Soavi a' fidi tuoi, Ed il sangue di chi re non ti vuole Ferocemente vuoi; Te da la pietà che piange e prega. Te da l'amor che liete Le creature ne la vita lega, Io scomunico, o prete; Te pontefice fosco del mistero, Vate di lutti e d'ire, Io sacerdote de l'augusto vero, Vate de l'avvenire. IV
NEL VIGESIMO ANNIVERSARIO
DELL'VIII AGOSTO MDCCCXLVIII Ma non così, quando superbo apriva L'ali e ne' raggi di vittoria adorno Almo rise d'Italia in ogni riva Il tuo gran giorno, Ma non così sperai, Bologna, il canto Recar votivo a l'urna de' tuoi forti. Oggi insegna la Musa iroso il pianto. Fremono i morti Abbandonati a' retici dirupi, Il verde Mincio flebile risponde; E lunge ne gl'issèi pelaghi cupi Rimugghian l'onde, Se per l'azzurro ciel la gialla insegna Passa a gl'itali zefiri ventando E lieto lo stranier da poppa segna Il sen nefando. Ahi, come punto da mortifer angue, Ahi, di veleno il cor ferve e ribolle! Fumate ancor d'invendicato sangue, Romane zolle! O forti di Bologna, a voi la fuga De' nemici irraggiava il guardo estinto; E, mentre posa ed il sudor s'asciuga, – Abbiamo vinto – Disse, chinato sopra il sen trafitto Del compagno, il compagno. A le parole Pallido ei rise, e su i cubiti ritto Salutò il sole Occidente e l'Italia. E la mattina Lo stranier, come lupo arduo che agogna, Ululato avea su da la collina: – Odi, o Bologna. Le mie vittoriose aquile io voglio Piantar dove moriva il tuo Zamboni A i tre color pensando; e vo' l'orgoglio De' tuoi garzoni Pestar sì come il piè de' miei cavalli Pesta il fien de' tuoi campi. A Dio gradito, Empier di San Petronio io vo' gli stalli Del lor nitrito. Vo' il tuo vin pe' miei prodi ed i sorrisi De le donne: a la mia staffa prostrati Ne la polvere io vo' gli antichi visi De' tuoi magnati. Odi, Bologna. Stride ampia la rossa Ala del foco su' miei passi: l'ira Porto e il ferro ed il sal di Barbarossa: Sermide mira. – Lo stranier così disse. Ed un umìle Dolor prostrò per l'alte case il gramo Cuor de' magnati. Ma la plebe vile Gridò: Moriamo. E tra 'l fuoco e tra 'l fumo e le faville E 'l grandinar de la rovente scaglia Ti gittasti feroce in mezzo a i mille, Santa canaglia. Chi pari a te, se ne le piazze antiche De' tuoi padri guerreggi? Al tuo furore, Sì come solchi di mature spiche Al mietitore, Cedon le file; e via per l'aria accesa La furia del rintocco ulula forte Contro i tamburi e in vetta d'ogni chiesa Canta la morte. Da gli odi fiamma d'olocausti santi, Da i vapori del sangue alito pio Sale: o martire plebe, a te davanti Folgora Dio. Ecco, su' corpi de' mal noti eroi Erge la patria i suoi color festiva; Ed i vecchi e le donne e i figli tuoi Gridano: Viva. Il tuo sangue a la patria oggi: a la legge Il sangue e il pan domani. E pur non fai Tu leggi, o plebe, e, diredato gregge, Patria non hai. Ma quei che a te niegan la patria, quelli Che per sangue e sudor ti dànno oltraggio, Ne' giorni del conflitto orridi e belli, Quando al gran raggio De l'estate si muore e incontro al rombo De' cannoni le picche ondanti vanno E co' le pietre si risponde al piombo, Ove, ove stanno? Oh qui non le tediose alme trastulla De' giuochi la vicenda e de le dame! La santa Libertà non è fanciulla Da poco rame; Marchesa ella non è che in danza scocchi Da' tondeggianti membri agil diletto, Il cui busto offre il seno ed offron gli occhi Tremuli il letto: Dura virago ell'è, dure domanda Di perigli e d'amor pruove famose: In mezzo al sangue de la sua ghirlanda Crescon le rose.

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Argomenti: vecchio prete,    chiostro ameno,    pontefice fosco,    ulula forte,    rovente scaglia

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