Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni pagina 9

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accelerava il colpo, Non lo stornava. — O Dio, che tutto scerni, Rivelami il mio cor; ch'io veda almeno In quale abisso son caduto, s'io Fui più stolto, o codardo, o sventurato. — O Carmagnola, tu verrai! ... sì certo Egli verrà... se anche di queste volpi Stesse in sospetto, ei penserà che Marco È senator, che anch'io l'invito; e lunge Ogni dubbiezza ei caccerà; rimorso Avrà d'averla accolta... Io son che il perdo! — Ma... di clemenza non parlò quel vile? Sì, la clemenza che il potente accorda All'uom che ha tratto nell'aguato, a quello Ch'egli medesmo accusa, e che gli preme Di trovar reo. Clemenza all'innocente! Oh! il vil son io che gli credetti, o volli Credergli; ei la nomò perché comprese Che bastante a corrompermi non era Il rio timor che a goccia a goccia ei fea Scender sull'alma mia: vide che d'uopo M'era un nobil pretesto; e me lo diede. Gli astuti! i traditor! Come le parti Distribuite hanno fra lor costoro! Uno il sorriso, uno il pugnal, quest'altro Le minacce... e la mia? ... voller che fosse Debolezza ed inganno... ed io l'ho presa! Io li spregiava, e son da men di loro! Ei non gli sono amici! ... Io non doveva Essergli amico: io lo cercai; fui preso Dall'alta indole sua, dal suo gran nome. Perché dapprima non pensai che incarco È l'amistà d'un uom che agli altri è sopra? Perché allor correr solo io nol lasciai La sua splendida via, s'io non potea Seguire i passi suoi? La man gli stesi; Il cortese la strinse; ed or ch'ei dorme, E il nemico gli è sopra — io la ritiro — Ei si desta, e mi cerca — io son fuggito! Ei mi dispregia — e muore! Io non sostengo Questo pensier... Che feci! ... Ebben, che feci? Nulla finora: ho sottoscritto un foglio, E nulla più. Se fu delitto il Giuro, Non fia virtù l'infrangerlo? Non sono Che all'orlo ancor del precipizio; il veggio, E ritrarmi poss'io... — Non posso un mezzo Trovar? ... Ma s'io l'uccido? — Oh! forse il disse Per atterrirmi — E se davvero il disse? Oh empj, in quale abbominevol rete Stretto m'avete! Un nobile consiglio Per me non v'ha; qualunque io scelga, è colpa. Oh dubbio atroce! — Io li ringrazio; ei m'hanno Statuito un destino; ei m'hanno spinto Per una via — vi corro: — almen mi giova Ch'io non la scelsi — io nulla scelgo; e tutto Ch'io faccio è forza e volontà d'altrui. — Terra ov'io nacqui, addio per sempre: io spero Che ti morrò lontano, e pria che nulla Sappia di te, lo spero: in fra i perigli Certo per sua pietade il ciel m'invia. — Io non morro per te. Che tu sii grande E gloriosa, che m'importa? Anch'io Due gran tesori avea, la mia virtude, Ed un amico — e tu m'hai tolto entrambi. (parte). SCENA III Tenda del Conte. IL CONTE e GONZAGA. IL CONTE Ebben, che raccogliesti? GONZAGA Io favellai, Come imponesti, ai Commissarj; e chiaro Mostrai che tutta delle vinte navi Riman la colpa e la vergogna a lui Che non le seppe comandar; che infausta La giornata gli fu perché la imprese Senza di te; che tu da lui chiamato Tardi in soccorso, romper non dovevi I tuoi disegni per servirgli altrui; Che l'armi lor, tanto in tua man felici, Sempre il sarian, se questa guerra fosse Commessa al senno ed al voler d'un solo. IL CONTE Che dicon essi? GONZAGA Si mostrar convinti Ai detti miei: dissero in pria, che nulla Dissimular volean; che amaro al certo Dei perduti navigli era il pensiero, E di Cremona la fallita impresa; Ma che son lieti di saper che il fallo Di te non fu; che di chiunque ei sia, Da te l'ammenda aspettano. IL CONTE Tu il vedi, O mio Gonzaga; se dai fede al volgo Sommo riguardo, arte profonda è d'uopo Con questi uomin di Stato. Io fui con essi Quel ch'esser soglio; rigettai l'ingiuste Pretese lor, scender li feci alquanto Dall'alto seggio ove si pon chi avvezzo Non è a vedersi altri che schiavi intorno; Io mostrai lor fino a che segno io voglio Che altri signor mi sia: d'allora in poi Mai non l'hanno passato; io li provai Saggi sempre e cortesi. GONZAGA E non pertanto Dar consiglio ad alcuno io non vorrei Di tener questa via. — Te da gran tempo La gloria segue e la fortuna; ad essi Util tu sei, tu necessario e caro — Terribil forse: — e tu la prova hai vinta; Se pur può dirsi che sia vinta ancora. IL CONTE Che dubbj hai tu? GONZAGA Tu, che certezza? Io veggio Dolci sembianti, e dolci detti ascolto: Segni d'amor; ma pur, l'odio che teme Altri ne ha forse? IL CONTE No: di questo io nulla Sono in pensier. Troppo a regnar son usi; E san che all'uom da cui s'ottiene il molto Chieder non dessi improntamente il meno. E poi — mi credi; io li guardai dappresso: Questa cupa arte lor, questi intricati Avvolgimenti di menzogna, questo Finger, tacere, antiveder, di cui Tanto li loda e li condanna il mondo, È meno assai di quel che al mondo appare. GONZAGA Se pur non era di lor arte il colmo Il parer tali a te. IL CONTE No: tu li vedi Con l'occhio altrui: quando col tuo li veda, Tu cangerai pensiero. Havvene assai Di schietti e buoni; havvene tal che un'alta Anima chiude, a cui pensier non osa Avvicinarsi che gentil non sia: Anima dolce e disdegnosa, in cui Legger non puoi, che tu non sia compreso D'amor, di riverenza, e di desio Di somigliarle. — Non temer; non sono Di me scontenti; e quando il fosser mai, Io lo saprei ben tosto. GONZAGA Il Ciel non voglia Che tu t'inganni. IL CONTE — Altro mi duol — son stanco Di questa guerra che condur non posso A modo mio. — Quand'io non era ancora Più che un soldato di ventura, ascoso E perduto tra i mille, ed io sentia Che al loco mio non m'avea posto il cielo, E dell'oscurità l'aria affannosa Respirava fremendo ed il comando Sì bello mi parea, ... chi m'avria detto Che l'otterrei, che a gloriosi duci, E a tanti e così prodi e così fidi Soldati io sarei capo; e che felice Io non sarei perciò! ... (entra un Soldato). Che rechi? SOLDATO Un foglio Di Venezia. (gli porge un foglio e parte). IL CONTE Veggiam. (legge). Non tel diss'io? Mai non gli ebbi più amici: a loro la pace Domanda il Duca, e conferir con meco Braman di ciò. Vuoi tu seguirmi? GONZAGA Io vengo. IL CONTE Che dì' tu di tal pace? GONZAGA Ad un soldato Tu lo domandi? IL CONTE È ver; — ma questa è guerra? — O mia consorte, o figlia mia, fra poco Io rivedrovvi, abbraccerò gli amici — Questo è contento al certo. — Epur del tutto Esser lieto non so — chi potria dirmi Se un sì bel campo io rivedrò più mai? FINE DELL'ATTO QUARTO ATTO V SCENA I Notte. Sala del Consiglio dei Dieci illuminata. IL DOGE, i DIECI, e il CONTE, seduti. IL DOGE (al Conte). A questi patti offre la pace il Duca; Su ciò chiede il Consiglio il parer vostro. IL CONTE Signori, un altro io ve ne diedi; e molto Promisi allor: vi piacque. Io attenni in parte Quel che promesso avea: ma lunge ancora Dalle parole è il fatto; ed or non voglio Farle obbliar però: sul labbro mio Imprevidente militar baldanza Non le mettea. Di novo avviso or chiesto, Altro non posso che ridirvi il primo. Se intera e calda e risoluta guerra Far disponete, ah! siete a tempo: è questa La miglior scelta ancora. Ei vi abbandona Bergamo e Brescia; — e non son vostre? L'armi Le han fatte vostre: ei non può tanto soffrirvi Quanto sperar di torgli v'e concesso. Ma — da un guerrier che vi giurò sua fede, Voi non volete altro che il ver — se il modo Mutar di questa guerra a voi non piace, Accettate gli accordi. IL DOGE Il parlar vostro Accenna assai, ma poco spiega: un chiaro Parer vi si domanda. IL CONTE Uditel dunque. Scegliete un duce, e confidate in lui: Tutto ei possa tentar; nulla si tenti Senza di lui: largo poter gli date; Stretto conto ei ne renda. Io non vi chieggio Ch'io sia l'eletto: dico sol che molto Sperar non lice da chi tal non sia. MARINO Non l'eravate voi quando i prigioni Sciolti voleste, e il furo? Eppur la

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