Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni pagina 11

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terra C'è ancor pietà — son sposi e padri anch'essi. Mentre scrivean l'empia sentenza, in mente Non venne lor ch'egli era sposo e padre. — Quando vedran di che dolor cagione È una parola di lor bocca uscita, Ne fremeranno anch'essi; ah! non potranno Non rivocarla: del dolor l'aspetto È terribile all'uom. — Forse scusarsi Quel prode non degnò, rammentar loro Quel che per essi oprò; noi rammentarlo Sapremo. Ah! certo ei non pregò; ma noi, Noi pregheremo. (in atto di partire). GONZAGA Oh ciel, perché non posso Lasciarvi almen questa speranza! A preghi Loco non v'è; qui i giudici son sordi, Implacabili — ignoti: il fulmin piomba, La man che il vibra è nelle nubi ascosa. Solo un conforto v'è concesso, il tristo Conforto di vederlo, ed io vel reco. Ma il tempo incalza. Fate cor; tremenda È la prova; ma il Dio degl'infelici Sarà con voi. MATILDE Non v'è speranza? ANTONIETTA Oh figlia! (partono). SCENA IV Prigione. IL CONTE A quest'ora il sapranno.— Oh perché almeno Lunge da lor non muojo! Orrendo, è vero, Lor giungeria l'annunzio; ma varcata L'ora solenne del dolor saria; — E adesso innanzi ella ci sta: bisogna Gustarla a sorsi, e insieme. — O campi aperti! O Sol diffuso! o strepito dell'armi! O gioja de' perigli! o trombe! o grida Dei combattenti! o mio destrier! Fra voi Era bello il morir. — Ma — ripugnante Vo dunque incontro al mio destin, forzato, Siccome un reo, spargendo in sulla via Voti impotenti e misere querele? — E Marco, anch'ei m'avria tradito! Oh vile Sospetto! oh dubbio! oh potess'io deporlo Pria di morir! — Ma no — che val di nuovo Affacciarsi alla vita, e indietro ancora Volgere il guardo ove non lice il passo? — E tu, Filippo, ne godrai! — Che importa? Io le provai quest'empie gioie anch'io: Quel che vagliano or so. — Ma rivederle! Ma i lor gemiti udir! l'ultimo addio Da quelle voci udir! tra quelle braccia Ritrovarmi, e staccarmene per sempre! Eccole! O Dio, manda dal ciel sovr'esse Un guardo di pietà. SCENA V ANTONIETTA, MATILDE, GONZAGA, e il CONTE. ANTONIETTA Mio sposo! ... MATILDE Oh padre! ANTONIETTA Così ritorni a noi? Questo è il momento Bramato tanto? ... IL CONTE O misere, sa il cielo Che per voi sole ei m'è tremendo. Avvezzo Io son da lungo a contemplar la morte, E ad aspettarla. Ah! sol per voi bisogno Ho di coraggio; e voi — voi non vorrete Tormelo, è vero? Allor che Dio sui boni Fa cader la sciagura, ei dona ancora Il cor di sostenerla. Ah! pari il vostro Alla sciagura or sia. Godiam di questo Abbracciamento: è un don del cielo anch'esso. Figlia, tu piangi! e tu, consorte! ... Ah! quando Ti feci mia, sereni i giorni tuoi Scorreano in pace; — io ti chiamai compagna Del mio tristo destin: questo pensiero Mi avvelena il morir. Deh ch'io non veda Quanto per me sei sventurata! ANTONIETTA O sposo De' miei bei dì, tu che li festi; il core Vedimi; io muojo di dolor; ma pure Bramar non posso di non esser tua. IL CONTE Sposa, il sapea quel che in te perdo — ed ora Non far che troppo il senta. MATILDE Oh gli omicidi! IL CONTE No, mia dolce Matilde; il tristo grido Della vendetta e del rancor non sorga Dall'innocente animo tuo, non turbi Quest'istanti: — son sacri. È grande il torto; Ma perdona, e vedrai che in mezzo ai mali Un'alta gioia anco riman. — La morte! Il più crudel nemico altro non puote Che accelerarla. — Oh! gli uomini non hanno Inventata la morte: ella saria Rabbiosa, insopportabile: — dal cielo Ella ne viene; e l'accompagna il cielo Con tal conforto, che né dar né torre Gli uomini ponno. O sposa, o figlia, udite Le mie parole estreme: amare, il vedo, Vi piombano sul cor; ma un giorno avrete Qualche dolcezza a rammentarle insieme. — Tu, sposa, vivi — il dolor vinci, e vivi; Questa infelice orba non sia del tutto. Fuggi da questa terra, e tosto ai tuoi La riconduci — ella è lor sangue — ad essi Fosti sì cara un dì: — consorte poi Del lor nemico, il fosti men; le crude Ire di Stato avversi fean gran tempo De' Carmagnola e de' Visconti il nome. — Ma tu riedi infelice; il tristo oggetto Dell'odio è tolto: — è un gran pacier la morte. E tu, tenero fior, tu che fra l'armi A rallegrare il mio pensier venivi, — Tu chini il capo: — oh! la tempesta rugge Sopra di te — tu tremi, ed al singulto Più non regge il tuo sen — sento sul petto Le tue infocate lagrime cadermi; E tergerle non posso: — a me tu sembri Chieder pietà, Matilde: ah! nulla il padre Può far per te: — ma pei diserti in cielo C'è un Padre, il sai. — Confida in esso, e vivi A dì tranquilli se non lieti: ei certo Te li destina. Ah! perché mai versato Tutto il torrente dell'angoscia avria Sul tuo mattin, se non serbasse al resto Tutta la sua pietà? — Vivi, e consola Questa dolente madre. — Oh ch'ella un giorno A un degno sposo ti conduca in braccio! — Gonzaga, io t'offro questa man che spesso Stringesti il dì della battaglia, e quando Dubbj eravam di rivederci a sera. Vuoi tu stringerla ancora, e la tua fede Darmi che scorta e difensor sarai Di queste donne, fin che sian rendute Ai lor congiunti? GONZAGA Io tel prometto. IL CONTE Or sono Contento. E quindi, se tu riedi al campo, Saluta i miei fratelli, e dì lor ch'io Muojo innocente: testimon tu fosti Dell'opre mie, de' miei pensieri, — e il sai. Di' lor che il brando io non macchiai con l'onta D'un tradimento — io nol macchiai: — son io Tradito. — E quando squilleran le trombe, Quando l'insegne agiteransi al vento, Dona un pensiero al tuo compagno antico. E il dì che segue la battaglia, quando Sul campo della strage il sacerdote, Tra il suon lugubre, alzi le palme, offrendo Il sacrifizio per gli estinti al cielo, Ricordivi di me, che anch'io credea Morir sul campo. ANTONIETTA Oh Dio, pietà di noi! IL CONTE Sposa, Matilde, ormai vicina è l'ora; Convien lasciarci — addio. MATILDE No, padre... IL CONTE Ancora Una volta venite a questo seno; E per pietà partite. ANTONIETTA Ah no! dovranno Staccarci a forza. (si ode uno strepito di armati). MATILDE Oh qual fragor! ANTONIETTA Gran Dio! (si apre la porta di mezzo, e si affacciano genti armate; il capo di esse si avanza verso il Conte: le due donne cadono svenute). IL CONTE O Dio pietoso, tu le involi a questo Crudel momento; io ti ringrazio. — Amico, Tu le soccorri, a questo infausto loco Le togli; e quando rivedran la luce Dì lor — che nulla da temer più resta.

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Argomenti: tristo grido,    tristo oggetto,    degno sposo

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