Il colore del tempo di Federico De Roberto pagina 34

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regolare, mentre i loro uomini si riposavano beatamente. Questo giudizio, fra parentesi, potrebbe far credere che l'autore sia femminista; ma, se egli trova la capacità riflessiva nelle donne selvagge, dice pure che le nostre donne sono altrettante marionette—«marionette artificiosamente composte, e coscienti senza dubbio, ma col principio di tutti i loro movimenti nella regione dei desiderî involontarî e delle suggestioni esteriori»; e che si ha un bell'impartir loro gli alti insegnamenti: «esse non arrivano alla solida cultura. Possono mandare a memoria una quantità di cose; ma non aspettate da loro nessuno sforzo d'immaginazione creatrice. Difficilmente si ottiene che esse abbiano una personalità; e il Manuel, da lunghi anni presidente della Giuria d'aggregazione delle signorine, lo accerta in molti dei suoi rapporti annuali». Ma lasciamo stare il femminismo, del quale abbiamo già tenuto troppo lungo discorso, e torniamo alla volontà. Il Payot dà un buon esempio storico dell'indolenza abituale e degli impeti momentanei di tutto un popolo. «Gli Arabi», dice, «hanno conquistato un vasto impero. Essi non lo hanno conservato perchè è loro mancata la costanza degli sforzi con la quale si ordina l'amministrazione di un paese, si fondano le scuole, si creano le industrie». Un esempio più semplice, ma più vicino a noi, è quello offerto dal novanta per cento degli studenti, che tutti gli anni, d'estate, insaccano scienza per passar l'esame, e che, ottenuta la promozione, tornano all'ozio consueto. Un certo numero di essi studenti stanno di mezzo tra gli oziosi e i diligenti: il Payot li dice intenti ad un «lavoro ozioso:». Sono quelli la cui attività manca di direzione; «poichè l'energia della volontà si rivela non tanto negli sforzi molteplici, quanto con l'orientazione verso un medesimo fine di tutte le potenze dello spirito. Ecco qua un tipo di ozioso molto frequente: è un giovane vivace, gaio, energico. Resta di rado senza far nulla. Durante il giorno ha letto qualche trattato di geologia, un articolo di Brunetière su Racine, sfogliato alcuni giornali, riletto qualche nota, abbozzato uno schema di dissertazione, tradotto alcune pagine d'inglese. Non un solo istante egli è rimasto inattivo. I suoi compagni lo ammirano per la potenza del lavoro e la varietà delle occupazioni. Per lo psicologo, c'è in questa molteplicità di lavori soltanto l'indizio d'una attenzione spontanea abbastanza ricca, ma non ancora divenuta attenzione volontaria. Cotesta pretesa potenza di lavoro svariato non rivela se non una gran debolezza di volontà». Fermiamoci qui un momento. Il Payot se la piglia legittimamente contro questo tipo di studente che chiama sparpagliato; ma non pensa che la colpa non è tutta imputabile all'infelice. L'attività dello studente si sparpaglia perchè egli non è capace di concepire e di porre in esecuzione un piano di studî; ma a produrre quest'effetto non ha anche contribuito l'eterogenea molteplicità delle cose che gli hanno dato da studiare? Il Payot parla della geologia, della letteratura e della lingua inglese; ma bisogna mettere nel conto la fisica e la geografia, la chimica e la storia, la filosofia e la botanica, il latino e la zoologia, la statistica e il greco. Diremo noi, come il Payot inclina a credere, che la colpa sia di chi ha compilato i programmi degli studî? La riforma dei programmi eviterà mai questo prodigioso cumulo di discipline? Non dipende esso dal prodigioso accumularsi del sapere umano? E che diremmo di programmi i quali trascurassero la diffusione di parte del sapere? Ecco qua: mentre scrivo, Errico Panzacchi pubblica un articolo, che è molto lodato, per dimostrare la necessità d'impartir nelle scuole l'insegnamento della storia dell'arte, e Ugo Ojetti lo approva, notando come un caso scandaloso che uno studente di lettere ignorasse dove è posta e da chi scolpita la statua di San Giorgio. Non è veramente scandaloso? Non bisogna istituire il nuovo insegnamento? La storia dell'arte, necessaria agli artisti, non è utilissima a ognuno? E, con la storia dell'arte, non vi sono tante altre cose non meno utili e necessarie a sapersi? Tutte le volte che il patrimonio intellettuale si accresce,—e questo fatto accade tutti i giorni,—non è naturale che le nuove nozioni siano partecipate agli studiosi, a tutti gli studiosi? E il patrimonio intellettuale non è di tanto cresciuto, che abbiamo visto la necessità di creare nuove scienze, di conferire la dignità di discipline indipendenti ai rami delle antiche discipline? Non abbiamo creato la psicologia, la statistica, la fisiologia, la sociologia, la biologia, la chimica organica, l'antropologia, la psichiatria, e via discorrendo? Se i cervelli non ci resistono, se le attenzioni più deboli si sparpagliano, la colpa non è tutta loro; la colpa è anche del tempo troppo sapiente, della civiltà troppo progredita in mezzo alla quale sono nati. L'avvocato, il medico, il professore hanno una biasimevole tendenza a vivere della scienza acquistata bene o male durante gli studî; ma, se anche essi volessero, potrebbero seguire tutto quanto il movimento delle loro discipline? Non avrebbero, in verità, neppure il tempo di sfogliare quel che si stampa. Il progresso della scienza è dovuto agli specialisti, a quelli che scelgono un capitolo, un paragrafo, un comma del gran libro dello scibile, e che dimenticano interamente il resto. Dall'altra parte stanno i volgarizzatori enciclopedici, quelli che sanno di tutto un poco e niente a fondo. Noi parlavamo, iniziando questi nostri ragionamenti sopra alcuni caratteri del tempo presente, della rarità delle opere di lunga lena, organiche, metodiche. Guardiamoci intorno: quali sono le pubblicazioni più copiose? Sono le memorie e i giornali. La memoria, che in poche pagine presenta il frutto di anni e anni di ricerche sopra un punto particolarissimo della scienza; il giornale, che sfiora la sociologia, la statistica, l'etnografia, la psicologia, la storia, la letteratura, la biologia, tutte quante le scienze. Il Payot nota bensì il danno prodotto dal giornale; ma non pensa che il giornale prospera appunto perchè soddisfa un bisogno della nostra società; e il bisogno di tutti quanti noi è quello di far presto; ai nostri giorni si corre, bisogna correre, sui tranvai, sulle ferrovie, sui piroscafi o sulle biciclette; bisogna volare col pensiero sui fili elettrici e sulle colonne del giornale. Presto e bene raro avviene, dice il motto; e la mediocrità è naturale conseguenza della fretta. Il trionfo delle velleità sulle volontà, l'esaurimento delle energie ne è un'altra. II. E il Payot non tiene conto di un'altra fatalità del nostro tempo, dalla quale anche dipende l'abulia, l'incapacità di volere e di agire. Questa fatalità è il trionfo dell'analisi. La psicologia dimostra che un atto concepito è un atto cominciato, che fra l'idea dell'atto e l'atto stesso non c'è differenza essenziale. Dobbiamo concluderne che pensiero ed azione sono tutt'uno? In fisica abbiamo un certo numero di forze: la luce, il calore, l'elettricità. Uno studio attento ha portato ad affermare che esse non sono tanto diverse quanto sembrano, che anzi l'una si può mutare nell'altra, e che insomma la forza è unica e varie ne sono soltanto le manifestazioni. Ma che cosa importa questa nozione? Perchè l'elettricità è o può essere calore, diremo noi ad un assiderato di prendere in mano i fili di una corrente elettrica per riscaldarsi? Perchè il calore è luce, consiglieremo a chi non ha candele di mettersi a scrivere dinanzi alla bocca di un forno? Nel mondo delle forze vi sarà unità fondamentale; ma le manifestazioni dell'unica forza sono tanto diverse come se dipendessero da forze realmente diverse. Così nel mondo della materia. Abbiamo in chimica una quantità di sostanze che si possono considerare come risultanti dal diverso aggruppamento molecolare di una sostanza unica, elementare, primordiale; ma il

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