Diario del primo amore di Giacomo Leopardi pagina 2

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e dalla novità del diletto) son certo che il tempo fra pochissimo lo guarirà: e questo non so bene se mi piaccia o mi dispiaccia, salvo che la saviezza mi fa dire a me stesso di sì. Volendo pur dare qualche alleggiamento al mio cuore, e non sapendo nè volendo farlo altrimenti che collo scrivere, nè potendo oggi scrivere altro, tentato il verso, e trovatolo restio, ho scritto queste righe, anche ad oggetto di speculare minutamente le viscere dell'amore, e di poter sempre riandare appuntino la prima vera entrata nel mio cuore di questa sovrana passione. La Domenica 14 di Decembre 1817. Ieri, avendo passata la seconda notte con sonno interrotto e delirante, durarono molto più intensi ch'io non credeva, e poco meno che il giorno innanzi, gli stessi affetti, i quali avendo cominciato a descrivere in versi ieri notte vegliando, continuai per tutto ieri, e ho terminato questa mattina stando in letto. Ieri sera e questa notte c'ho dormito men che pochissimo, mi sono accorto che quella immagine per l'addietro vivissima, specialmente del volto, mi s'andava a poco a poco dileguando, con mio sommo cordoglio, e richiamandola io con grandissimo sforzo, anche perchè avrei voluto finire quei versi de' quali era molto contento, prima d'uscire del caldo della malinconia. Avanti d'addormentarmi ho previsto con gran dispiacere che il sonno non sarebbe stato così torbido come le notti passate, e così è successo, ed ora tutti quegli affetti sono debolissimi, prima per la solita forza del tempo, massimamente in me, poi perchè il comporre con grandissima avidità quei versi, oltre che m'ha e riconciliato un poco colla gloria, e sfruttatomi il cuore, l'avere poi con ogni industria ad ogni poco incitati e richiamati quegli affetti e quelle immagini, ha fatto che questi non essendo più così spontanei si sieno infievoliti. Ma perchè essi mi vadano abbandonando, non me ne scema il voto del cuore, anzi più tosto mi cresce, ed io resto inclinato alla malinconia, amico del silenzio e della meditazione; e alieno dai piaceri che tutti mi paiono più vili assai di quello c'ho perduto. E insomma io mi studio di rattenere quanto posso quei moti cari e dolorosi che se ne fuggono: per li quali mi pare che i pensieri mi si sieno più tosto ingranditi, e l'animo fatto alquanto più alto e nobile dell'usato, e il cuore più aperto alle passioni. Non però in nessun modo all'amore (se non solamente verso il suo oggetto), che il fastidio d'ogni altra bellezza umana è, posso dire, dei moti descritti di sopra quello che più vivo e saldo mi si mantiene nella mente. E una delle cagioni di ciò (oltre l'essere ora il cuor mio troppo signoreggiato da un sembiante), come anche di tutta questa mia crisi, è, come poi pensando m'è parso di poter affermare, l'impero che, se non fallo, per natura mia, hanno e debbono avere nella mia vita sopra di me due cose. Prima i lineamenti forti (purchè sieno misti col delicato e grazioso e non virili), gli occhi e capelli neri, la vivacità del volto, la persona grande: e però io aveva già prima d'ora ma con molta incertezza osservato che le facce languide e verginali e del tutto delicate, capelli o biondi o chiari, statura bassa, maniere smorte, e così discorrendo, mi faceano molto poca forza, e forse forse qualche volta niuna, quando queste qualità davano in eccesso, e per avventura in altri facevano più gran presa. Secondo, le maniere graziose e benigne ma niente affettate, e soprattutto nessun torcimento notabile, nessun moto troppo lezioso, nessunissima smorfia, insomma, come di sopra ho detto, le maniere pesaresi, che hanno anche quanto alla grazia e alla vivacità modesta un altro non so che ch'io non posso esprimere; e per questo e per la disinvoltura e la fuga dell'affettazione (almeno in quella di cui scrivo), vantaggiano a cento doppi le marchegiane; le quali ora conosco essere molto più affettate e smorfiose e meno leggiadre. Per queste due cagioni, il guardare o pensare ad altro aspetto (poichè io non vedo nè, posso dire, ho veduto altro che marchegiane) mi par che m'intorbidi e imbruttisca la vaghezza dell'idea che ho in mente, di maniera che lo schivo a tutto potere. Il Martedì 16 Decembre 1817. Ieri dopo liberatomi dal peso dei versi, quegli affetti non mi parvero nè così deboli nè così vicini a lasciarmi come m'erano paruti la mattina, in ispecie quella dolorosa ricordanza spesso accompagnata da quell'incerto scontento e dispiacere o dubbio di non aver forse goduto bastantemente, che fu il primo sintoma della mia malattia, e che ancor dura, e quasi non so vedere come mi possa passare, eccetto che per la natural forza del tempo non è così intenso come da principio, ma nè anche così indebolito come si potrebbe credere e come io credeva che sarebbe stato. Ieri sera la continua malinconia di tre giorni, la spessa e lunga tensione del cervello, tre notti non dormite, l'inquietudine, il mangiar meno del solito, m'aveano alquanto indebolito, e istupiditami la testa; nondimeno io era e sono contento di questo stato di malinconia uguale uguale, e di meditazione, vedendomi anche l'animo più alto, e non curante delle cose mondane e delle opinioni e dei disprezzi altrui, e il cuore più sensitivo molle e poetico. Questa notte per la prima volta son tornato al sonno così lungo com'è d'ordinario, e ho sognato della solita passione, ma per poco nel fine, e senza turbamento. Oggi durano appresso a poco gl'istessi pensieri e sentimenti di ieri e di ieri sera, la stessa svogliatezza al cibo e ad ogni diletto, in particolare alla lettura, e massime di cose d'amore, perchè come io non posso vedere bellezze umane reali, così nè anche descritte, e mi fa stomaco il racconto degli affetti altrui. In genere questa svogliatezza a ogni cosa e specialmente allo studio, mi pare così radicata in me, che io non so vedere come ne uscirò, non facendo con piacere altra lettura che quella de' miei versi su questo argomento, e di queste righe. Alle ragioni del presente mio stato addotte di sopra mi pare che vada aggiunta quella dell'essermi riuscite nuove ed insolite le maniere della Signora, cioè le pesaresi (vedute da me di raro), se bene non conversando io punto mai con donne, parrebbe che anche le maniere marchegiane dovessero riuscirmi pressochè nuove, e però da questa parte non ci fosse ragione perchè non m'avessero a fare l'istesso effetto. Nondimeno credo che bisogni fare qualche caso anche di questa osservazione, perchè è naturale che la maggior novità mi dovesse riuscire più grata, ed eccitarmi maggiormente all'attenzione: e mi par poi che la sperienza la confermi. Il Mercordì 17 di Decembre 1817. La sera d'avanti ieri mi parve che il mio caro dolore stesse veramente per licenziarsi, e così ieri mattina. Tornavami l'appetito, passavami per la mente un pensiero che avrei fatto bene a ripigliare lo studio, pareami d'esser fatto meno restio al ridere e meno svogliato a certi dilettucci della giornata, ricominciava a ragionare tra me stesso così di questa come d'altre cose tranquillamente come soglio, di maniera che io con molto dispiacere n'argomentava che presto sarei tornato come prima. I sogni di ieri notte due o tre volte mi mentovarono il solito oggetto, ma per pochissimo e placidamente. Ieri però quasi a un tratto, principalmente per avere udito parlare della Signora, mi riprese l'usata malinconia, e n'ebbi degli accessi così forti che quasi mi parea d'esser tornato al principio della malattia. Lo stesso turbamento di stomaco nel sentir parole allegre, lo stesso dolore, la stessa profonda e continua meditazione, e quasi anche la stessa smania e lo stesso affanno, le quali due cose in genere non mi parea d'aver mai provate veramente fuori che la sera e notte del Sabato, tutta la Domenica, e (ma già molto rintuzzate) la prima parte del Lunedì. E in verità in questi ultimi giorni non potendo più la malinconia per cagione del tempo durare tuttavia così calda ed intensa come ne' primi, s'è risoluta in parecchi

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