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Garibaldi di Francesco Crispi pagina 4facile brigantino che fu battezzato la Speranza e con 85 legionari prese la via del mare. A metà del cammino, scoppia il fuoco e tutti si credono perduti, e lui con sangue freddo spegne le fiamme divoratrici e tutti giungono salvi in Italia. Il 26 agosto 1848, dopo aver vinto due volte gli austriaci, stremato di forze, scioglie la piccola legione, passa in mezzo all'esercito nemico, lo delude, entra non visto nella Svizzera, e ritorna per altre vie in Italia a combattere nuove battaglie. Il 2 luglio 1849, resa inutile la difesa di Roma, esce dalla porta opposta a quella dalla quale entravano i francesi; tenta di prendere la via di Venezia, e non gli riesce. Gli austriaci lo cercano, lo spiano, lo attendono, ed egli scioglie la legione, amareggiato il cuore per la perdita della sua compagna, sconfina il territorio toscano e si salva. Non vi dirò, signori, quale lo vidi a Calatafimi e a Palermo, in mezzo alle palle borboniche, sereno, raggiante il viso; fu sempre così in tutti i combattimenti. Ricorderò soltanto un episodio della battaglia di Milazzo. Il 20 luglio 1860 s'era impegnata la battaglia; e le sorti per un momento parvero incerte. Spunta da una viuzza un mezzo squadrone di cacciatori con un maggiore alla testa. Garibaldi, Missori e il giovane Bertini erano a poca distanza; l'ufficiale napoletano non se ne accorse, intento a correre per riprendere un cannone che i garibaldini avevano preso al nemico; ma i cacciatori borbonici sono ricevuti dalle fucilate dei nostri e ritornano indietro. Garibaldi, si getta sulla via, colla sciabola sguainata, e osa intimar loro la resa; Missori imbraccia la carabina ed uccide il cavallo del comandante. Costui alza il fendente sul capo di Garibaldi, e l'Eroe para il colpo e taglia la gola al nemico. Qui si impegna una lotta corpo a corpo; tre contro quindici; e dei soldati della tirannide, alcuni sono presi, altri sono fatti prigionieri (Applausi vivissimi). Ho detto, un momento fa, come il primo ottobre 1860 Francesco Borbone avesse raccolto tutte le sue forze; 42 mila uomini, la parte più scelta delle sue truppe, lungo la linea del Volturno, contro 20 mila volontari. Impegnata la battaglia, Garibaldi si dirige in carrozza da Santa Maria verso Monte Sant'Angelo, dove soleva stare ogni giorno per osservare il nemico e per dirigere i suoi. Improvvisamente da alcune vie coperte, sino ad allora ignorate, spunta un nugolo di nemici e la carrozza è circondata. Ferito il cavallo, ucciso il cocchiere, la carrozza forata dalle palle, Garibaldi e i suoi aiutanti scendono e si mettono in difesa. La meraviglia nei nemici per cotesto atto audace fu tanta che fu dato tempo a Simonetta ed a Mosto di accorrere coi cacciatori. Garibaldi è salvo; e riprende il comando della battaglia; il Borbone è vinto (Applausi prolungati). È inutile, signori, che io ricordi i pericoli corsi in altre battaglie, nel Tirolo, a Mentana, nei Vosgi, là, sulla terra francese, dove mentre tutta la Francia era sconfitta, Garibaldi solo era vincitore. Nulla dimanco non se n'ebbe riconoscenza all'Eroe, il quale più tardi venne fischiato a Bordeaux. Nelle cento battaglie se il suo corpo non restò sempre illeso, la sua vita fu sempre salva. Avvenne di lui come di Napoleone I, che i nemici non seppero fondere la palla che lo doveva uccidere. Signori, in certi periodi storici, nei momenti in cui l'umanità soffre ed attende la sua liberazione, avviene che la provvidenza faccia sorgere nel mondo una creatura straordinaria, i cui atti e le cui virtù escono dal comune. Dei suoi prodigi le immaginazioni restano colpite, e le popolazioni vedono in quella creatura un essere sovrumano. E lo dissi e lo ripeto: se Garibaldi fosse nato in Atene od in Roma, i popoli ne avrebbero fatto un semi-dio e gli avrebbero alzato dei templi. Ai nostri giorni siamo più modesti; l'altare di Garibaldi è nel cuore di ogni patriota, senza distinzione di partito nè di classe. Hanno un culto per lui, hanno venerazione per l'eroe quanti vogliono l'Italia quale la fecero i plebisciti, una dalle Alpi ai due mari, quanti amano la patria, forte, grande, prospera e rispettata (Applausi prolungati). Questo, o signori, dovevo dire ai giovani dell'Università, ai Bolognesi che mi hanno con tanta benevolenza ascoltato, alle popolazioni lontane alle quali forse giungerà l'eco della mia parola (Applausi prolungatissimi insistenti). 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