Romanzo d'una signorina per bene di Anna Vertua Gentile

Testo di pubblico dominio

A MIA SORELLA ANTONIETTA VERTUA Seduta a la piccola, elegante scrivania, presso l'ampia finestra aperta, Lucia, con la penna sospesa su 'l foglio, guardava fuori i rami dell'ippocastano, che scossi dall'aria degli ultimi giorni di marzo, ondeggiavano nell'azzurro le grosse umide gemme, scintillanti al sole come bottoni di color roseo dorato. I passeri, lieti della promessa del verde, del folto, volavano da un ramo a l'altro ciangottandosi a distanza, desideri, speranze, amorose impazienze. Giù nel giardino, che cingeva intorno la villetta, Wise, il Terranova, con le zampe anteriori poggiate su lo sporto del muricciolo che sosteneva la cancellata, abbaiava a scatti, con il suo cupo vocione da forte, agli operai uscenti dalla fabbrica lì a pochi passi, per il pasto di mezzogiorno. «Cara, cara, cara! «Hai fatto male, malissimo, mille volte male a lasciarmi qui sola soletta, con papà che è fuori tutto il giorno e gran parte della notte, e con la zia della quale tu sai, s'io possa far conto. Oh quella tua fierezza! quel tuo orgogliaccio!» . . . . . . . . . . . . . . . . Sopra il foglio erano scritte appena queste poche righe. Invece di continuare la lettera, Lucia, sempre con la penna sospesa, guardava fuori. Si sentivano i passi pesanti degli operai su l'acciottolato, le loro voci, qualche risata di fanciullo, l'abbaiare del cane, forse aizzato. Tutto ad un tratto, a l'abbaiare successe il guaito pietoso del cane, che riconosce un amico e implora la solita carezza. Lucia scattò da sedere e si fece a la finestra in tempo, per vedere uno dei giovani ingegneri della fabbrica, passare la mano attraverso le stecche del cancello e posarla su la testa di Wise, che scodinzolava festoso. Alzando gli occhi, il giovine vide la signorina, si toccò il cappello ritirando la mano dall'inferriata e si incamminò in coda agli operai. Lucia lo stette a vedere mentre egli si allontanava a passo svelto, diritto su l'alta, elegante persona. Quando svoltò, ella tornò a la scrivania, riprese la penna e si diede a scrivere in fretta, con foga un po' convulsa. …. «L'orgoglio, mia cara, per quanto ci sia chi lo porta a' sette cieli, e ne faccia quasi una virtù, per me è una passionaccia volgare, che scaturisce, ingrossata da altre passioncelle minori, da una sorgente tutt'altro che nobile; dall'egoismo. No, no, non mi fare gli occhiacci e nè pure non sorridere con compatimento. L'orgoglio, io sento, che è come l'ho definito; e non può essere altrimenti, poi che la definizione me l'ha fatta fare l'esperienza, che è quella maestra infallibile che tutti sanno. Sicuro; chi è orgoglioso è egoista. Perchè…. perchè, per esempio, rende uno capace di sacrificare l'affetto, l'amicizia, per fino la pace d'una persona, al dubbio immaginario di non essere utile, di non compensare chi è felice di averlo con sè; che anzi gliene è riconoscente come d'un favore. E questa è una frecciata che se la pigli chi se la merita. Vorrei lanciarne un'altra agli orgogliosi che ci tengono tanto al loro io coronato d'uno stemma di conte, che credono, per fermo, di recare un'offesa a sè stessi abbassando gli occhi fino a chi arriva fresco fresco dal volgo, sia costui coperto di diamanti e lui in abito sdruscito. La mia freccia in questo caso, dovrebbe essere ancora più acuta e pungente dell'altra, perchè questo genere d'orgoglio è peggiore e meno perdonabile del primo, che è però quello che mi fa soffrire, mentre dell'altro, non mi curo punto. Avevo promesso a me stessa di non scriverti per un pezzo, magari di non più scriverti affatto. Ma…. promesse di gente che crede di poter agire senza consultare il sentimento; gente che ama e perdona; anzi, lecca la mano che lo ha colpito, ne più nè meno come Wise, il cane buono affezionato e fedele, che non è orgoglioso lui, e per questo agisce lealmente verso sè stesso, facendo quello che gli suggerisce il cuore, il quale è sempre il miglior consigliere. Oh se tu ti fossi lasciata guidare dal cuore, ora non avresti il rimorso (poichè io penso che lo devi avere e ti deve anche tormentare) di avere abbandonata una povera ragazzona che ti voleva un gran bene e che aveva tanto, tanto bisogno del tuo affetto e del tuo senno!… Che cosa sarebbe importato a te, se in te avesse parlato forte il cuore, che in casa fosse piombata come un bolide inaspettato, la sorella di papà?… Non ti saresti certo sforzata di persuaderli, con ragionamenti pazzi, che ormai, poichè in casa c'era una signora capace di reggere la famiglia e di badare a me, il tuo ufficio di governante, anzi di amica, diventava inutile; che non era della tua dignità di rimanere a farsi retribuire (brutta parola che non ho inghiottita nè inghiottirò mai) la parte di padrona e di maestra fino allora esercitata. Ma il cuore non ha manco susurrato una parola tanto spadroneggiava l'orgoglio in quel momento. E così, in ossequio del tiranno, che ti andava cantando inni bugiardi in favore della famosa dignità, così, come se niente fosse, hai fatto una vittima. Sì, una vittima; e ti prego di non prendere la cosa in celia, poi che non ci fu mai vittima più vittima di me, che mi tocca di sentirmi isolata in casa mia, fra il babbo sempre fuori e la zia che non mi capisce e che io non capisco. Le ricordi le chiacchierate che si facevano insieme?.. Le letture in comune? le belle ore di raccoglimento nel salottino, a ricamare, a far musica?… C'era proprio bisogno che tu mi educassi il gusto alle cose belle, che dessi alla mia intelligenza desideri non comuni, all'anima mia aspirazioni elevate, per poi piantarmi qui a rappresentare la parte della incompresa infastidita! Meglio era tirarmi su senza tante delicature morali, come la zia per esempio, che si piace e si compiace dei gingilli, si interessa dei romanzi a grande intreccio, sta a balzello de' fatti altrui, giudica il prossimo, biasima, condanna e passa il tempo ozieggiando affannosamente. Ma… le recriminazioni non giovano a nulla, pur troppo!… Tu mi hai lasciata; hai voluto, hai potuto lasciarmi, dopo otto anni che si viveva insieme, e si era come sorelle; mi hai lasciata e… pazienza!… Avessi almeno il conforto di sapere che ti trovi bene costì, in collegio; che le tue scolare li amano; che le maestre e la direttrice ti tengono in quel conto che meriti. Me lo scriverai?… Me la dirai la verità?… poi che per non affliggermi, saresti capace di farmi vedere lucciole per lanterne, tu!… Qui le serate sono lunghe eterne. Il papà, subito dopo pranzo, va fuori, e non torna che tardissimo; mai prima delle due. La zia discorre con le sorelle Zolli, che sono venute ad abitare il villino vicino al nostro; e tu sai che sorta di conversazione esilarante sia quella!… Io leggo, vado in giardino, adesso che l'aria è tiepida, e mi intrattengo con Wise. Se no, faccio un po' di musica, per me sola. La maggiore parte delle volte però mi ritiro alle ore ventuna e finisco la serata in camera. Di rado capita in casa qualche impiegato della fabbrica; di rarissimo l'ingegnere Del Pozzo, il Conte Anton Mario Del Pozzo si degna di varcare la soglia del nostro salotto di parvenus. Ma si capisce lontano un miglio che lo fa per dovere; pare su le spine; dice cose insulse risguardanti il tempo, il caldo, il freddo e se ne va dopo una visita brevissima. La zia dice che è un giovine simpatico; un perfetto gentiluomo! Io per me lo trovo orgoglioso; e ne' suoi atti e nelle sue parole mi par di vedere e di sentire un non so che di nobile che si degna. Ma si degni o no, a me che mi fa?.. Non ti ho detto, che fra una quindicina di giorni, papà dà una festa di ballo per celebrare le sue nozze d'argento con la fabbrica di stecche d'ombrelli e di chiavette per aprire le scatole di sardine, che hanno fatto la sua fortuna!… Papà ha ordinato a Parigi la mia toeletta. Che idee ci hanno, in generale, questi nostri ricchi industriali, cominciando dal mio papà!.. Lavorano in Italia e per l'Italia, che vorrebbero grande nella industria

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Argomenti: parola tanto,    guaito pietoso,    maestra infallibile,    cane buono,    signora capace

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