La spada di Federico II di Vincenzo Monti

Testo di pubblico dominio

ALLA GRANDE ARMATA VINCENZO MONTI. La più bellicosa delle greche nazioni non veniva a combattimento senza prima sacrificare a Calliope; e l'antica sapienza parve stabilire l'amistà tra il guerriero e il poeta, associando Ercole colle Muse. Per insegnarne ancora che gl'illustri conflitti sono l'argomento più caro di queste dive, la medesima lasciò scritto che il primo de' loro canti fu il trionfo di Giove lor genitore e i forti fatti dei numi che per lui combattevano nella gran giornata di Flegra. A voi dunque, valorosi duci e soldati del grande Napoleone, io consacro a buon titolo questi versi dalla militare virtù vostra ispirati e dai campi di Marengo e di Austerlitz, ove già vostro bardo sto intrecciando corone degli allori colà mietuti, io corro per diporto a raccogliervi qualche fronda di quelli di Iena, finchè sono ancor caldi del sangue dell'inimico. Nè io temo che questo tributo dell'ammirazione sia da voi rifiutato. siete figli della più grande ed insieme della più culta e gentile fra le nazioni: e mi conforta inoltre di buona speranza un altro pensiero. L'offerta mia rispettosa vi si presenta sotto gli auspicii e l'eccitamento di un principe generoso, un dì prode vostro compagno nelle battaglie ed ora dolente di trovarsi lontano dai gloriosi vostri pericoli. A questo magnanimo desiderio il cuor vostro ha già nominato l'augusto Eugenio Napoleone, amore e ferma tutela del beato regno italiano. Da lui mi venne l'ardire di intitolarvi la Spada di Federico, egregia vostra conquista: ed egli è pur quello che a tutte le ottime discipline liberale di beneficii compartisce a me quell'ozio onorato, che divenuto un giorno bella sentenza di gratitudine sulla bocca di Titiro mantovano ispira adesso alla mia canti di lodi ai primi guerrieri dell'universo. Milano, 24 novembre 1806. LA SPADA DI FEDERICO II re di Prussia. [1806] Sul muto degli eroi sepolto frale Eterna splende di virtù la face. Passa il tempo, e la sventola coll'ale, E più bella la rende e più vivace. Corre a inchinarla la virtù rivale; Alessandro alla tomba entro cui tace L'ira d'Achille, e maggior d'ogni antico Bonaparte all'avel di Federico. Del sudore di Iena ancor bagnato Al sacro marmo ei giunse, e la man stese Al brando che in Rosbacco insanguinato Tarpò le penne del valor francese; Famoso brando dal martel temprato Della sventura; e che per dure imprese Nomar fe grande chi lo cinse, e dritto Diede e splendor sovente anco al delitto. La man vi stese, e disse: — Entra nel mio Pugno, o fatal tremenda spada. Il trono Ch'alto levasti, e i lauri onde coprìo Un dì la fronte il tuo signor, miei sono. Dal gorgo intatta dell'umano obblío Sua gloria volerà; ma tale un suono Di Iena i campi manderan, che fiacco Quel n'andrà di Torgavia e di Rosbacco. — Così dicendo, con un fier sorriso L'impugna; e il ferro alle contente ciglia Dalla vagina già splendea diviso. Mise l'arme una luce atro–vermiglia; Mise, forte tremando, un improvviso Gemito il sasso: ed ecco maraviglia, Ecco una man che scarna e spaventosa Sul nudo taglio dell'acciar si posa. Era del guanto marzial vestita La terribile mano, e si vedea Sangue uscirne a gran gocce; e tosto udita Fu roca orrenda voce che dicea: — Chi sei che al brando mio porti l'ardita Destra? — E il brando di forza a sè traea; E un fremer si sentía di rotte e cupe Voci, qual vento in cavernosa rupe. Rise il franco guerriero alla superba Sdegnosa inchiesta per lui solo intesa (Chè sol delle grand'alme al senso serba I suoi portenti il cielo e li palesa); Il magnanimo rise; indi in acerba Sembianza d'ire generose accesa, — È mia, gridò, cotesta spada; e invano La contende Averno a questa mano. Se di Cocito su la morta foce Non vien dei fatti di quassù la fama, Se laggiù del mio nome ancor la voce Non ti percosse e di saperlo hai brama; Chiedilo a quel tuo trono, ombra feroce, Che là giace atterrato, e invan ti chiama. Tu ben sette, a fondarlo, anni pugnasti, Io sette giorni a riversarlo: e basti. — Non tutto ancora il suo parlar finiva, Che un doloroso altissimo lamento Suonò per l'aria, e alla virtù visiva Del favellante eroe sparve il portento. Ma non già sparve agli occhi della diva Che animando su l'arpa il mio concento Presta al pensiero la pupilla e il move Per le vie de' baleni in grembo a Giove. Ivi si spazia, e con intatte piume Tra gli accesi del dio strali s'avvolve; A suo senno de' fati apre il volume; Tocca il sigillo del futuro, e il solve; E fragoroso passar vede il fiume Dell'umane vicende, e sciolti in polve Sparir là dentro i troni e su la bruna Onda regina passeggiar fortuna. Poichè l'emersa dall'eterna notte Larva scettrata infranto vide il soglio Di Brandeburgo e violate e rotte L'auguste bende del borusso orgoglio, Cesse il ferro conteso; ed interrotte Di furor mormorando e di cordoglio Fiere parole, all'aura alto si spinge, E lunga lunga il ciel col capo attinge. Perchè nessuna al suo veder si rubi Di tante alla gran lite armi commosse, Squarcia d'intorno colla man le nubi; E sì truce fra nembi appresentosse, Ch'un de' negri parea vasti cherubi Che un dì la spada di Michel percosse. Bieca allor la grand'ombra il guardo gira Sul pugnato suo regno: ed ahi! che mira? Di prusso sangue dilagate e nere Mira di Iena le funeste valli, E le sue sì temute armi e bandiere E i vantati non mai vinti cavalli Fulminati o dispersi, e prigioniere Gir le falangi, e i bellici metalli Su meste rote con le bocche mute Cigolando seguirle in servitute. Mira il nipote successor pentito Morto alla fama ed al rossor sol vivo Voltar le spalle e maledir l'invito Dell'Anglo insultator del santo olivo. Mira i prenci congiunti, altri ferito, Altri spento in battaglia, altri captivo. E cagion fugge delle ree disfide La regal donna. Amor la segue, e ride. Del valor, che di Praga e di Friedbergo Cinse un giorno gli allori alle sue chiome, Cerca i duci: e qual cade, e qual dà il tergo, Qual l'armi abbassa trepidanti e dome. Della prisca virtù sciolto è l'usbergo Da tutti i petti: si spalanca al nome Del vincitor qual rôcca è più sicura E ne volge le chiavi la paura. Spinge l'Elba atterrite e rubiconde Al mar le spume; e il mar le incalza al lido Anglo muggendo, e su le torbid'onde Gl'invía del sangue sì mal compro il grido. A quel muggir l'Odéra alto risponde, E — Rispetta il lion, bada al tuo nido, Grida allo Sveco dalla riva estrema; Bada al tuo nido, re pusillo, e trema. — Di fanciulli e di padri orbi cadenti Il coronato spettro ode frattanto Le pietose querele, ode i lamenti Delle vedove donne in negro ammanto; Ode urli e suono di feroci accenti; E vede all'onda del pubblico pianto La discesa di Dio giusta vendetta Folgorando temprar la sua saetta. E temprata e guizzante la ponea Nel forte pungo del guerrier sovrano: Nè cangiata il divin dardo parea Sentir del primo vibrator la mano. L'ira allor delle franche armi sorgea Superante il furor dell'oceáno, Simile all'ira del signor del tuono Che guarda bieco i regni, e più non sono. Pur, siccome talor, rotta la scura Nube, furor porge la serena testa Il ministro maggior della natura, E i campi allegra in mezzo alla tempesta; Bella del par clemenza fra la dura Ragion dell'armi al cor si manifesta, E di mano all'eroe tenera diva Fa lo strale cader che già partiva. Qua vedi al pianto di fedel consorte Rimesso di sleal sposo il delitto, E di malizia gravido e di morte Pietose fiamme consumar lo scritto; Là del sedotto Sàssone le torte Vie d'error perdonate, e allo sconfitto Ricomposte sul crin le regie bende, Che or fatto amico un maggior dio difende. Ecco poscia un diadema in tre spezzato (Se non inganna dello sguardo il volo) Saldarsi, e ratto del gran sire al fiato Que' tre brani animarsi e farne un solo. Rompe al nuovo prodigio il vendicato Polono i ceppi, e dell'artico polo Alle barbare torme

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