L'amore che torna di Guido da Verona

Testo di pubblico dominio

«Placet, si vis Domine» — Dormite? — ella domandò, piano, entrando sotto l'arco della tenda che l'avviluppava in sè come un mantello d'antico e fosco velluto. Avevo inteso il rumore de' suoi passi nell'altra stanza, il fruscìo della sua gonna sul tappeto, ma fingevo di sonnecchiare davanti al caminetto, con un libro aperto su le ginocchia. — Dormite? — ella ripetè, avvicinandosi e protendendo il capo, quasi per meglio discernermi nella semioscurità della stanza. — No, stavo pensando, — le risposi con una voce rapida, che a mio malgrado tradiva l'impazienza di averla così a lungo attesa. Bella e ridente nella luce irrequieta della fiamma: — Ebbene — domandò — non mi dite nulla? non mi salutate neppure? — Vi aspettavo per le quattro e mezzo; ora sono le sei... Veramente mi pare un po' tardi! — Allora me ne torno via... — E fece ridendo l'atto di volgersi; poi soggiunse: — Dunque, siete sempre in collera? — Con voi non mi riesce! Solo, durante le attese, medito, e quando medito mi assale a poco a poco l'esasperazione. — Già, voi avete un carattere bizzarro! Ascoltatemi: ora vi spiegherò. — A che serve? Mi sarebbe così difficile credervi! — Ed avreste torto, — ella rispose tranquillamente. — Se volessi mentirvi, saprei anche mentirvi bene. — Oh... davvero? — Forse ne dubitate? Noi donne ci confondiamo più facilmente nel dire la verità. — Quand'è così, — feci — spiegatevi pure. — Permettete che mi sieda? — ella domandò in tono di celia. — Ve ne prego. — E che mi tolga la pelliccia? i guanti? il cappello? — Ve ne prego, — ripetei con la stessa urbanità. — E che vi chieda un bacio? un bacio su la punta delle dita? Mi tese una piccola mano, senz'anelli, con l'unghie rosee, finemente curate, ove le mie labbra indugiarono con voluttà, poich'era tepida e morbida come una soave piuma. — Ecco, — ella fece, sedendo presso il caminetto e ravviando i suoi capelli, d'un bel colore d'oro e di bronzo antico, fusi per comporre insieme una maravigliosa luce, — ecco: vi aspetterete chissà quale confessione, chissà quale complicatissima storia... Invece una causa molto semplice: avevo dimenticato. Leggevo anch'io, vicino al fuoco, un libro molto bello, e mi ricordai dell'ora solo quando fu, come voi dite, un poco tardi. Mi guardò col suo riso impertinente, in cui erano tutte le grazie e tutte le insensibilità. Una pausa lunga; ella si leva, guarda i fiori che stanno in un grande vaso d'argento e trascolorano al riverbero del fuoco, sceglie una pallida rosa e la pone alla sua cintura. Io accendo una sigaretta, la decima forse dalle quattro e mezzo in poi; Ludovico reca il vassoio del tè: ci sediamo entrambi, aspirando il vaporoso aroma della bevanda profumata. — Dunque, — riprendo con indifferenza, — avete letto molto a lungo? E certo un libro attraentissimo, un libro strano, perchè voi amate soltanto le cose strane... — Non sempre, qualche volta, anche le tristi. — Allora, oggi, un libro triste? — Sì: «Le roman d'un spahi», del Loti. Era l'unico libro suo che non avessi ancor letto. — Vi piace Loti? — Molto; perchè ne' suoi libri mi rassomiglia un poco; sente cioè tutte le cose con un'anima che non è sua, ma che gli appartiene e che sa far comprendere come se fosse la sua. — E questa seconda anima cosa sarebbe, in voi ed in lui? — Oh Dio, è ben difficile a definirsi! Un misto d'ingegno e di fantasia, d'indifferenza e di sensibilità, di superficiale e di profondo, di curioso e d'inutile. — È vero; per Loti è vero. Per voi, non so... perchè non vi conosco. — Ah?... ricominciate le indagini solite? — No, me ne guardo bene. Mi avete già data una risposta la quale vieta ogni ulteriore commento. Mi avete detto: «La mia vita passata non vi appartiene, come non appartiene a me sola... dunque non insistete, perchè inevitabilmente vi mentirei.» Questa frase risolve tutto; non insisto più. — Ed è forse meglio per entrambi. Vi ho detta la verità fino al segno cui potevo giungere: non chiedetemi oltre. A me riesce più facile inventare una fiaba che risolvermi ad una confessione, perchè non amo intrusi nella mia vita intima ed inoltre ho più fantasia che memoria... Perdonatemi, la colpa non è mia! Tutto questo ella diceva con indefinibile grazia, in una lingua straniera che usava con familiarità, sebbene vi risuonasse talvolta l'accento natìo, come in tutta la sua persona era segnato, puro e splendido, il tipo della sua terra ungherese. — Via, Germano, — ella seguitò con maggiore dolcezza — perchè tormentarci? Perchè mi lascerete partire con un triste ricordo? — Partire? — l'interruppi vivamente. — Ieri mi avevate quasi promesso che... — Sì, ieri... Ma poi ho meglio riflettuto, e mi sono persuasa che devo partire. — Non comprendo questa necessità. Voi siete libera, credo. — Appunto perchè lo sono, e vorrei rimanerlo sempre, — rispose, con una leggera ombra nel viso. — Temete forse ch'io divenga troppo indiscreto? che m'impadronisca troppo della vostra libertà? — Non è per questo, Germano. — Ed allora? — La ragione è un'altra. Ve la scriverò dopo aver lasciato Roma. Per ora non mi domandate nulla, nulla, vi prego. Il fuoco era quasi spento, la stanza semibuia, il rumore della strada reso fievole dalle folte cortine. Di quando in quando uno scalpitìo di cavalli sul lastricato, un crepitare della brage morente; nell'aria il profumo delle rose d'inverno, languida fragranza di fiori sbocciati senza sole; ed ella era seduta nella grande poltrona di cuoio dai foschi rilievi, co' due piedini sovrapposti, appena uscenti fuor dalla balza, le mani posate sui bracciuoli: tutta vestita di nero. Da quando ella era divenuta «la mia amica», poichè amava ella stessa chiamarsi così, io vivevo nell'ardore di una febbre in cui erano gioie forse più acute che nella voluttà di possederla e tormenti più acerbi che nell'assoluta rinunzia. Sentivo confusamente che se fosse partita, se non avessi potuto più soffrire della sua presenza, mi sarei creduto per sempre incapace di accendere in me un altro desiderio, di esprimere un'altra ammirazione, di conoscere o di pensare un'altra bellezza, la quale somigliasse lontanamente alla sua. Per questo le andai vicino, e dimenticando il fugace rancore le parlai quasi tremante. — Non andrete via, — la pregai. — Non posso lasciarvi partire! Mi guardò a lungo, mi porse la mano, ebbe un sorriso pieno di tristezza, mi disse: — Anch'io vorrei forse restare, ma invece devo, devo andarmene via... — Poi soggiunse: — Ritornerò; verrete voi a vedermi... chissà! — No, Elena: se partite questa volta, non ci vedremo più; mai più. — Perchè mi dite questo? Anche la prima volta noi credevamo che sarebbe stato così, ed invece... La vita è tanto bizzarra! — Elena, io farò in modo che non ci si riveda. — Voi? e perchè? — Perchè è sempre triste, enormemente triste, rimanere a mezza strada fra l'indifferenza e l'amore, fra la curiosità e il desiderio, fra quello che è stato e quello che poteva essere. Un sogno si può talvolta sopprimere, ma incatenarlo, precludere ad esso l'avvenire, questo no. D'altronde fra voi e me l'amicizia non è possibile. Perchè essere solamente amici quando è lecito amarsi? Elena, da che vi conosco non ho avuto verso di voi la più piccola irriverenza, non ho tentato mai di spingere la nostra intimità oltre il limite che le avete voluto prefiggere, trovando questo, non solo naturale, ma opportuno, perchè siete fra quelle donne che si debbono avere sempre o non avere mai. — Credete proprio che ci siano tali donne? — ella rispose con volubilità. E, nel fissarmi, qualcosa di crudele attraversò la sua ferma bellezza. — Se vi sono, — risposi — hanno certamente il diritto di farci anche soffrire. — Sentite, — m'interruppe, con riso pieno d'ironia su la bocca giovine, — credo che voi parliate con molta facilità... Veramente

Tag: sempre    libro    forse    triste    partire    poco    invece    stanza    prego    

Argomenti: sorriso pieno,    grande vaso,    vaporoso aroma,    maggiore dolcezza,    grande poltrona

Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina:

Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo
Diario del primo amore di Giacomo Leopardi
La divina commedia di Dante Alighieri
Giambi ed Epodi di Giosuè Carducci
I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi

Articoli del sito affini al contenuto della pagina:

Agadir, un angolo di Marocco
Come scegliere i giochi per gli uccelli
Gli accessori dello sposo
Offerte Capodanno Venezia
Agriturismi Emilia Romagna


  1   |    2   |    3   |    4   |    5   |    6   |    7   |    8   |    9   |    10   |    11   |    12   |    13   |    14   |    15   |    16   |    17   |    18   |    19   |    20   |    21   |    22   |    23   |    24   |    25   |    26   |    27   |    28   |    29   |    30   |    31   |    32   |    33   |    34   |    35   |    36   |    37   |    38   |    39   |    40   |    41   |    42   |    43   |    44   |    45   |    46   |    47   |    48   |    49   |    50   |    51   |    52   |    53   |    54   |    55   |    56   |    57   |    58   |    59   |    60   |    61   |    62   |    63   |    64   |    65   |    66   |    67   |    68   |    69   |    70   |    71   |    72   |    73   |    74   |    75   |    76   |    77   |    78   |    79   |    80   |    81   |    82   |    83   |    84   |    85   |    86   |    87   |    88 successiva ->