Libri scolare
Libri su scolare, con la parola scolare
Decameron (pagina 142)
di Giovanni Boccaccio (estratti)
... Lo scolare, più che altro uom lieto, al tempo impostogli andò alla casa della donna: e messo dalla fante in una corte e dentro serratovi quivi la donna cominciò a aspettare ... Era per avventura il dì davanti a quello nevicato forte, e ogni cosa di neve era coperta; per la qual cosa lo scolare fu poco nella corte dimorato, che egli cominciò a sentir più freddo che voluto non avrebbe; ma aspettando di ristorarsi pur pazientemente il sosteneva ... ” Andatisene adunque costoro a una finestretta e veggendo senza esser veduti, udiron la fante da un'altra favellare allo scolare e dire: “Rinieri, madonna è la più dolente femina che mai fosse, per ciò che egli ci è stasera venuto un de' suoi fratelli e ha molto con lei favellato, e poi volle cenar con lei e ancora non se n'è andato, ma io credo che egli se n'andrà tosto; e per questo non è ella potuto venire a te ma tosto verrà oggimai: ella ti priega che non ti incresca l'aspettare ... ” Lo scolare, credendo questo esser vero, rispose: “Dirai alla mia donna che di me niun pensier si dea infino a tanto che ella possa con suo acconcio per me venire, ma che questo ella faccia come più tosto può ... ” La fante dentro tornatasi se n'andò a dormire; la donna allora disse al suo amante: “Ben, che dirai? credi tu che io, se quel ben gli volessi che tu temi, sofferissi che egli stesse là giù a agghiacciare?” E questo detto, con l'amante suo, che già in parte era contento, se n'andò a letto, e grandissima pezza stettero in festa e in piacere, del misero scolare ridendosi e faccendosi beffe ... Lo scolare andando per la corte sé essercitava per riscaldarsi, né aveva dove porsi a sedere né dove fuggire il sereno, e maladiceva la lunga dimora del fratel con la donna; e ciò che udiva credeva che uscio fosse che per lui dalla donna s'aprisse, ma invano sperava ... ” E levati, alla finestretta usata n'andarono; e nella corte guardando, videro lo scolare far su per la neve una carola trita, al suono d'un batter di denti che egli faceva per troppo freddo, sì spessa e ratta, che mai simile veduta non aveano ... Lo scolare, udendosi chiamare, lodò Idio credendosi troppo bene entrar dentro, e accostatosi all'uscio disse: “Eccomi qui, madonna: aprite per Dio, ché io muoio di freddo ... ” Disse lo scolare: “Deh! madonna, io vi priego per Dio che voi m'apriate, acciò che io possa costì dentro stare al coperto, per ciò che da poco in qua s'è messa la più folta neve del mondo, e nevica tuttavia; e io v'attenderò quanto vi sarà a grado ... ” Disse lo scolare: “Ora andate tosto; e priegovi che voi facciate fare un buon fuoco, acciò che, come io entrerò dentro, io mi possa riscaldare, ché io son tutto divenuto sì freddo, che appena sento di me ... ” L'amante, che tutto udiva e aveva sommo piacere, con lei nel letto tornatosi, poco quella notte dormirono, anzi quasi tutta in lor diletto e in farsi beffe dello scolare consumarono ...
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Decameron (pagina 143)
di Giovanni Boccaccio (estratti)
... ” Lo scolare isdegnoso, sì come savio il qual sapeva niuna altra cosa le minacce essere che arme del minacciato, serrò dentro al petto suo ciò che la non temperata volontà s'ingegnava di mandar fuori; e con voce sommessa, senza punto mostrarsi crucciato, disse: “Nel vero io ho avuta la piggior notte che io avessi mai, ma bene ho conosciuto che di ciò non ha la donna alcuna colpa, per ciò che essa medesima, sì come pietosa di me, infin qua giù venne a scusar sé e a confortar me; e come tu di', quello che stanotte non è stato sarà un'altra volta: raccomandalemi e fatti con Dio ... Ora avvenne, dopo certo spazio di tempo, che la fortuna apparecchiò caso da poter lo scolare al suo disiderio sodisfare; per ciò che, essendosi il giovane che dalla vedova era amato, non avendo alcun riguardo allo amor da lei portatogli, innamorato d'un'altra donna e non volendo né poco né molto dire né fare cosa che a lei fosse a piacere, essa in lagrime e in amaritudine si consumava ... Ma la sua fante, la quale gran compassion le portava, non trovando modo da levare la sua donna dal dolor preso per lo perduto amante, vedendo lo scolare al modo usato per la contrada passare, entrò in uno sciocco pensiero, e ciò fu che l'amante della donna sua a amarla come far solea si dovesse potere riducere per alcuna nigromantica operazione e che di ciò lo scolare dovesse esser gran maestro; e disselo alla sua donna ... La donna poco savia, senza pensare che se lo scolare saputa avesse nigromantia per sé adoperata l'avrebbe, pose l'animo alle parole della sua fante, e subitamente le disse che da lui sapesse se fare il volesse e sicuramente gli promettesse che, per merito di ciò, ella farebbe ciò che a lui piacesse ... La fante fece l'ambasciata bene e diligentemente; la quale udendo lo scolare, tutto lieto seco medesimo disse: “Idio, lodato sie tu: venuto è il tempo che io farò col tuo aiuto portar pena alla malvagia femina della ingiuria fattami in premio del grande amore che io le portava”; e alla fante disse: “Dirai alla mia donna che di questo non stea in pensiero, ché, se il suo amante fosse in India, io gliele farò prestamente venire e domandar mercé di ciò che contro al suo piacere avesse fatto: ma il modo che ella abbia a tenere intorno a ciò attendo di dire a lei quando e dove più le piacerà: e così le dì e da mia parte la conforta ... Quivi venuta la donna e lo scolare, e soli insieme parlando, non ricordandosi ella che lui quasi alla morte condotto avesse, gli disse apertamente ogni suo fatto e quello che disiderava e pregollo per la sua salute; a cui lo scolar disse: “Madonna, egli è il vero che tra l'altre cose che io apparai a Parigi si fu nigromantia, della quale per certo io so ciò che n'è; ma per ciò che ella è di grandissimo dispiacer di Dio, io avea giurato di mai, né per me né per altrui, d'adoperarla ... ” Lo scolare, che di mal pelo avea taccata la coda, disse: “Madonna, a me converrà fare una imagine di stagno in nome di colui il quale voi disiderate di racquistare: la quale quando io v'avrò mandata, converrà che voi, essendo la luna molto scema, ignuda in un fiume vivo, in sul primo sonno e tutta sola, sette volte con lei vi bagniate; e appresso così ignuda n'andiate sopra a uno albero o sopra una qualche casa disabitata, e volta a tramontana con la imagine in mano sette volte diciate certe parole che io vi darò scritte, le quali come dette avrete, verranno a voi due damigelle delle più belle che voi vedeste mai e sì vi saluteranno e piacevolmente vi domanderanno quello che voi vogliate che si faccia ... ” Lo scolare, che ottimamente sapeva e il luogo della donna e la torricella, contento d'esser certificato della sua intenzion disse: “Madonna, io non fui mai in coteste contrade e per ciò non so il podere né la torricella; ma se così sta come voi dite, non può essere al mondo migliore ...
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Decameron (pagina 144)
di Giovanni Boccaccio (estratti)
... Lo scolare, il quale in sul fare della notte col suo fante tra salci e altri alberi presso della torricella nascoso s'era e aveva tutte queste cose veduto, e passandogli ella quasi allato così ignuda e egli veggendo lei con la bianchezza del suo corpo vincere le tenebre della notte e appresso riguardandole il petto e l'altre parti del corpo e vedendole belle e seco pensando quali infra piccol termine dovean divenire, sentì di lei alcuna compassione; e d'altra parte lo stimolo della carne l'assalì subitamente e fece tale in piè levare che si giaceva e confortavalo che egli da guato uscisse e lei andasse a prendere e il suo piacer ne facesse: e vicin fu a essere tra dall'uno e dall'altro vinto ... La donna, montata in su la torre e a tramontana rivolta, cominciò a dir le parole datele dallo scolare; il quale, poco appresso nella torricella entrato, chetamente a poco a poco levò quella scala che saliva in sul battuto dove la donna era e appresso aspettò quello che ella dovesse dire e fare ... La donna, detta sette volte la sua orazione, cominciò a aspettare le due damigelle, e fu sì lungo l'aspettare, senza che fresco le faceva troppo più che voluto non avrebbe, ella vide l'aurora apparire; per che, dolente che avvenuto non era ciò che lo scolare detto l'avea, seco disse: “Io temo che costui non m'abbia voluta dare una notte chente io diedi a lui; ma se per ciò questo m'ha fatto, mal s'è saputo vendicare, ché questa non è stata lunga per lo terzo che fu la sua, senza che il freddo fu d'altra qualità ... E poi che le forze le ritornarono, miseramente cominciò a piagnere e a dolersi; e assai ben conoscendo questa dovere essere stata opera dello scolare, s'incominciò a ramaricare d'avere altrui offeso e appresso d'essersi troppo fidata di colui il quale ella doveva meritamente creder nemico; e in ciò stette lunghissimo spazio ... Poi, riguardando se via alcuna da scender vi fosse e non veggendola, rincominciato il pianto, entrò in uno amaro pensiero a se stessa dicendo: “O sventurata, che si dirà da' tuoi fratelli, da' parenti e da' vicini, e generalmente da tutti i fiorentini, quando si saprà che tu sii qui trovata ignuda? La tua onestà, stata cotanta, sarà conosciuta essere stata falsa; e se tu volessi a queste cose trovare scuse bugiarde, che pur ce ne avrebbe, il maladetto scolare, che tutti i fatti tuoi sa, non ti lascerà mentire ... Ma essendosi già levato il sole e ella alquanto più dall'una delle parti più al muro accostatosi della torre, guardando se alcun fanciullo quivi con le bestie s'accostasse cui essa potesse mandare per la sua fante, avvenne che lo scolare, avendo a piè d'un cespuglio dormito alquanto, destandosi la vide e ella lui; alla quale lo scolar disse: “Buon dì, madonna: sono ancora venute le damigelle?” La donna, vedendolo e udendolo, rincominciò a piagner forte e pregollo che nella torre venisse, acciò che essa potesse parlargli ... Lo scolare le fu di questo assai cortese ... ” Lo scolare, con fiero animo seco la ricevuta ingiuria rivolgendo e veggendo piagnere e pregare, a un'ora aveva piacere e noia nell'animo: piacere della vendetta la quale più che altra cosa disiderata avea, e noia sentiva movendolo la umanità sua a compassion della misera; ma pur, non potendo la umanità vincere la fierezza dell'appetito, rispose: “Madonna Elena, se i miei prieghi, li quali nel vero io non seppi bagnar di lagrime né far melati come tu ora sai porgere i tuoi, m'avessero impetrato, la notte che io nella tua corte di neve piena moriva di freddo, di potere essere stato messo da te pure un poco sotto il coperto, leggier cosa mi sarebbe al presente i tuoi essaudire; ma se cotanto ora più che per lo passato del tuo onor ti cale e ètti grave il costà sù ignuda dimorare, porgi cotesti prieghi a colui nelle cui braccia non t'increbbe, quella notte che tu stessa ricordi, ignuda stare, me sentendo per la tua corte andare i denti battendo e scalpitando la neve, e a lui ti fa aiutare, a lui ti fa i tuoi panni recare, a lui ti fa por la scala per la qual tu scenda, in lui t'ingegna di metter tenerezza del tuo onore, per cui quel medesimo, e ora e mille altre volte, non hai dubitato di mettere in periglio ...
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Decameron (pagina 146)
di Giovanni Boccaccio (estratti)
... ” Lo scolare allora cominciò a ridere; e veggendo che già la terza era di buona ora passata rispose: “Ecco, io non so ora dir di no, per tal donna me n'hai pregato: insegnamegli e io andrò per essi e farotti di costà sù scendere ... Lo scolare, della torre uscito, comandò al fante suo che di quindi non si partisse anzi vi stesse vicino e a suo poter guardasse che alcuno non v'intrasse dentro infino a tanto che egli tornato fosse: e questo detto, se n'andò a casa del suo amico e quivi a grande agio desinò e appresso, quando ora gli parve, s'andò a dormire ... E oltre a questo, non faccendo punto di vento, v'erano mosche e tafani in grandissima quantità abbondati, li quali, pognendolesi sopra le carni aperte, sì fieramente la stimolavano, che ciascuna le pareva una puntura d'uno spuntone: per che ella di menare le mani attorno non restava niente, sé, la sua vita, il suo amante e lo scolare sempre maladicendo ... E così dimorando costei, senza consiglio alcuno o speranza, più la morte aspettando che altro, essendo già la mezza nona passata, lo scolare, da dormir levatosi e della sua donna ricordandosi, per vedere che di lei fosse se ne tornò alla torre e il suo fante che ancora era digiuno ne mandò a mangiare; il quale avendo la donna sentito, debole e della grave noia angosciosa, venne sopra la cateratta e postasi a sedere piangendo cominciò a dire: “Rinieri, ben ti se' oltre misura vendico, ché, se io feci te nella mia corte di notte agghiacciare, tu hai me di giorno sopra questa torre fatta arrostire, anzi ardere, e oltre a ciò di fame e di sete morire: per che io ti priego per solo Idio che qua sù salghi e, poi che a me non soffera il cuore di dare a me stessa la morte, dallami tu, ché io la disidero più che altra cosa, tanto e tale è il tormento che io sento ... ” Ben conobbe lo scolare alla voce la sua debolezza e ancor vide in parte il corpo suo tutto riarso dal sole, per le quali cose e per gli umili suoi prieghi un poco di compassione gli venne di lei; ma non per tanto rispose: “Malvagia donna, delle mie mani non morrai tu già, tu morrai pur delle tue, se voglia te ne verrà; e tanta acqua avrai da me a sollevamento del tuo caldo, quanto fuoco io ebbi da te a alleggiamento del mio freddo ... Ma essendo già vespro e parendo allo scolare avere assai fatto, fatti prendere i panni di lei e inviluppare nel mantello del fante, verso la casa della misera donna se n'andò; e quivi sconsolata e trista e senza consiglio la fante di lei trovò sopra la porta sedersi, alla quale egli disse: “Buona femina, che è della donna tua?” A cui la fante rispose: “Messere, io non so: io mi credeva stamane trovarla nel letto dove iersera me l'era paruta vedere andare, ma io non la trovai né quivi né altrove, né so che si sia divenuta: di che io vivo con grandissimo dolore ...
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