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Alle quattro lasciai la locanda. In quell'improvviso, ruvido silenzio una agitazione spaventosa s'impadronì di me, e non soltanto del mio corpo. La sensazione di aver indossato la mia camera come una camicia di forza e che ora me la dovessi togliere mi fece fare le scale a precipizio. Entrai nella sala. Poiché nessuno rispondeva ai miei ripetuti richiami, uscii fuori all'aperto. Inciampai in un cumulo di ghiaccio, ma subito mi rimisi in piedi e mi prefissi una meta: un ceppo a una ventina di metri di distanza. Mi fermai davanti al ceppo. Ora vedevo spuntare dalla neve tanti ceppi simili che parevano squarciati da proiettili, a decine e decine. In quel momento mi venne in mente che avevo dormito per oltre due ore seduto sul letto. Il viaggio e la novità dell'ambiente erano le cause della mia spossatezza. Il föhn, pensavo. Quand'ecco che dal tratto di bosco, a non più di cento metri da me, vidi spuntare un uomo che camminava a fatica, senza dubbio il pittore Strauch. Ne vedevo spuntare solo il busto, perché le gambe erano nascoste da immensi mucchi di neve. Notai il suo gran cappello nero. Controvoglia, così mi parve, il pittore si spostava da un ceppo all'altro. S'appoggiava al suo bastone col quale poi si spronava, come se fosse – a un tempo – mandriano bastone e bestia da macello. Ma questa impressione sparì e restò il problema di come avvicinarmi a lui al più presto e nel migliore dei modi. Come mi presento a lui? pensai. Mi avvicino e gli domando qualcosa, adotto quindi il metodo sicuro anche se sciocco di quello che vuol sapere l'ora e il luogo? Sì? No? Sì? Non sapevo decidermi. Sì. Decisi di tagliargli la strada.Citazione di una frase tratta dall'opera Gelo di Thomas Bernhard.
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