Come affrontare e superare l'infedeltà del proprio marito

Purtroppo, dopo aver avviato alcune indagini personali, aver fatto una domanda diretta al nostro coniuge o esserci comportate in qualunque altro modo, siamo venute a conoscenza della verità: l'uomo che abbiamo sposato con i migliori progetti in testa ci tradisce. A questo punto bisogna assolutamente affrontare la situazione, senza lasciarci scoraggiare o senza cadere in depressione, anche se non quella vera, perché non ce n'è bisogno. Avviamo il nostro lungo percorso per la serenità e la raggiungeremo.

Curiosità: nel contesto delle frasi belle, parte di questi concetti viene trattata nel libro Il diavolo nell'ampolla con la seguente bella frase: "Ma non uno che dimostrasse d'aver molto sale in testa e alla domanda: — In qual modo, per che via preferiresti diventare un uomo celebre? — rispondesse: «Non lo so»"

Come primo punto, freniamo le nostre ossessioni. Probabilmente decideremo di separarci, di divorziare o di annullare il matrimonio, ma comunque sia dovremo tentare in tutti i modi di tenere a bada la nostra mente. Se non conosciamo l'identità dell'amante, evitiamo in tutti i modi di scoprirla. Non c'è assolutamente bisogno di venire a conoscenza di come è fatta questa persona, chi è e dov'è, né dovremo guardarci intorno pensando che tutte le donne potrebbero essere le amanti di nostro marito: dobbiamo pensare che la colpa, in linea generale, è soltanto del coniuge che tradisce (che abbia tradito la moglie o che abbia tradito il marito), e non dobbiamo essere ossessionati dall'idea di questa persona. Inoltre, dobbiamo prendere atto che per esserci stato un tradimento significa che la nostra unione era già finita: nessuna persona anche solo si mette a pensare ad un tradimento se ha un matrimonio che va a gonfie vele e che lo appaga. Il matrimonio finisce dal momento in cui una persona inizia a pensare ad un eventuale tradimento. Le nostre nozze non sono finite grazie al fatto che abbiamo scoperto tutto quello che faceva nostro marito, ma erano finite già da molto tempo, da quando abbiamo iniziato a sospettare e da quando l'altra persona ha posato gli occhi su una persona differente da noi. Perciò abbandoniamo anche le sensazioni di colpa: non siamo i responsabili della fine del matrimonio, e poi non è una tragedia. Il matrimonio altro non è che l'unione di due persone con due caratteri diversi, che necessariamente prima o poi si scontreranno, e non tutte le basi sono così solide da reggere diversi colpi per proseguire il matrimonio. L'amore eterno senza alcuna lite e alcun ripensamento non esiste, se non nelle favole.

Come altro aspetto, dobbiamo anche tentare in tutti i modi di scacciare il pensiero secondo cui l'amante è migliore di noi, ha qualcosa che noi non abbiamo. Teniamo in considerazione che non tutte le persone sono uguali, quindi l'amante non era migliore di noi, era semplicemente diversa e nostro marito ne aveva bisogno in quel preciso momento. Probabilmente, dopo la fine delle nozze, nemmeno penserà a costruire un futuro con la persona che ha incontrato; questo perché il tutto era una necessità momentanea. Noi siamo diverse dalla terza persona, né peggiori né migliori. Quando riusciremo a capirlo potremo finalmente trovare la giusta strada per la serenità. Inoltre, non possiamo trasformare quello che è accaduto in qualcosa di semplice e razionale: è ovvio che ci farà del male come una cosa indefinibile, che non si può trasformare in qualcosa di concreto. Dobbiamo quindi prenderci, nonostante tutto, un periodo di tregua per metabolizzare quanto accaduto.

Raccontiamo il triste avvenimento soltanto alle persone più care, ai nostri amici più intimi, ma non raccontiamolo magari scrivendolo su Facebook o da qualche altra parte, o alle persone che abbiamo appena conosciuto, o ai colleghi. Dobbiamo evitare di ricordarcelo continuamente, di dirlo a tutti, perché resteremo ossessionati da quello che pensano. Ci passeranno mille pensieri per la mente che è meglio evitare: prendiamoci semplicemente un periodo di ferie da tutto, ma non dal lavoro, per superare, per pensare, purché non diventi tutto ossessivo.

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